Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 2, 1911 - BEIC 1832860.djvu/265

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concentramento e l’arbitrio dei comandi assoluti, dando origine ai tristi litigi dei romaneschi e dei gallicani, rinfrescando le vecchie controversie del sacerdozio coll’ impero e col laicato, rendendo stative ed immobili la disciplina e la scienza ortodossa, che quindi vennero in disaccordo coll’avanzata cultura dei tempi, e finalmente producendo la miseria e l’avvilimento non solo degli Stati ecclesiastici ma di tutta Italia, mentre crescevano di bene in meglio e prosperavano gli altri popoli; di che prima nacquero il disprezzo e la noncuranza, poscia l’odio e il divorzio intellettuale delle classi gentili e colte dalle credenze cattoliche (0.

A tanto male due erano i rimedi: o levare la giurisdizione temporale alla Chiesa, o modificarla in guisa che al suo genio non ripugnasse. La scuola politica italiana si appigliò al primo partito, facendone un dogma fondamentale e professato costantemente (da pochi casi in fuori) sino dai tempi di Dante, del Machiavelli, del Sarpi, a quelli dell’Alfieri, del Giordani e del Leopardi. Ma nella pratica il concetto non fu altro che sogno, e nel millenio che corse da Crescenzio a Napoleone molti vollero effettuarlo e niuno riusci. La ragione si è che quanto lo spediente sarebbe efficace, tanto esso medesimo è difficile a mettersi in opera. Il congresso di Vienna, che potea mantenere e stabilire L incominciato, sceverandolo dai modi violenti e dai disegni dispotici del conquistatore, o almeno temperare il papato civile se non voleva abolirlo, non fece l’una cosa né l’altra: rinnovò l’ordine antico e lo peggiorò. Cosi la storia di dieci secoli attesta che, salvo un concorso straordinario di forze straniere (pericolose sempre se non dannose alla nostra autonomia, anche quando ci aiutano), la liberazione repentina da questo morbo è difficilissima; e che quindi, per convertire l’utopia in fatto reale, bisogna procedere gradatamente e colle riforme apparecchiare la mutazione. Tal fu il concetto ch’io ebbi fin da quando diedi fuori le mie prime opere ( 2 ) e che trattai di pro fi) Consulta V Apologia, i.

(2) Introduzione, t. i, pp. 44, 45; /irrori, t. 11, pp. 202-208; Buono, pp. 320-327.