Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 2, 1911 - BEIC 1832860.djvu/284

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saranno un gran male, e il biasimo di esse non toccherá ai popoli ma a quei governi che le avranno necessitate.

Per questo rispetto il regno ecclesiastico è di grave pericolo non pure a noi ma a tutta quanta V Europa. La quale aspira alla pace e al corso regolato dei progressi civili, ma non può ottenerla finché questa o quella provincia è in bollore o in tempesta; e dove le altre quietassero, basterebbe a turbarla l’agitazione d’Italia per la grandezza del nome e l’ imperio delle credenze. Ora l’odio che si porta al governo dei chierici e la continua violenza che si richiede a mantenerlo fanno si che Roma è come una voragine chiusa di fuoco, che gorgoglia, freme, minaccia di rompere e traboccare; il che non può succedere senza grave commozione d’ Italia e di tutto il mondo civile. Si giudichi adunque con che senno i rettori di Francia, di Germania, di Spagna abbiano rifatto a sommo studio il dominio papale come strumento efficace di conservazione e di quiete, quando esso in vece è il maggior fomite di perturbazioni e di scandali che si trovi al mondo. Piú inescusabili e ciechi dei magnati di Vienna, avendo per aggiunta trent’anni di moltiplici e dolorose esperienze, e il governo dei chierici diventando piú insopportabile di mano in mano che avanzano l’addottrinatura e la forza de’ laici. Laonde ogni uomo di buon giudizio non recherá in dubbio queste due sentenze: l’una, che vano è promettersi la stabile pacificazione di Europa senza quella d’Italia; l’altra, che vanissima è ogni fiducia di tranquillar la penisola se non si riduce al suo essere naturale, il quale nei popoli adulti e maturati alla vita secolaresca non può meglio accordarsi coll’imperio dei chierici che con quello dei forestieri.

Perciò si vede come Cesare Balbo si lasciasse illudere da un concetto piú generoso che savio quando disse, avendo l’occhio al dominio papale, che l’Italia era «destinata a soffrir per tutti»(b. Il vero si è che tutti ne soffrono e niuno se ne vantaggia, e piú dei popoli ancora ne patisce la religione. Qual

(i) Vita di Dante, Torino, 1839, t. ri, p. 42.