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CAPITOLO QUARTO

dell’egemonia piemontese

Abbiamo veduto che, dei due perni politici, l’uno, cioè Roma sacra, avendo rinnegate le massime e le pratiche del Risorgimento italiano, non può conferire al Rinnovamento, anzi ne è divenuto l’ostacolo principale. L’altro, cioè il Piemonte, è in miglior essere, poiché il filo delle nuove tradizioni non è rotto, la monarchia fu vinta ma non avvilita, l’esercito afflitto ma non disciolto né disonorato da servile insegna, e sopravvive lo statuto, unico avanzo dell’ultimo movimento. Le sue presenti condizioni non ostano che il governo ci sia democratico e almeno di sensi e di spiriti nazionale; e che non ripugni ad essere, si può eonghietturare dal ricovero dato agl’italiani fuggiaschi e dalla Siccardiana, sovrattutto se questa legge si considera come il principio di riforme ulteriori che compiano la cittadina uguaglianza c la franchezza del temporale. A questi meriti nuovi si aggiunge l’antico della patria guerra presa animosamente e sostenuta per due campagne, né priva in sui principi di fatti prosperi che onorarono le nostre armi. Si aggiunge la qualitá del giovane principe, netto degli errori dei governi precedenti e dei falli paterni; il quale, in vece d’imitare Pio, Leopoldo, Ferdinando e rompere i patti giurati, li mantiene con religiosa osservanza; lode volgare in altri tempi, ma oggi non piccola perché contraria all’esempio. Queste buone parti del Piemonte lo rendono caro e invidiabile alle altre provincie italiche, le quali, trovandosi in uno stato molto disforme, rivolgono ad esso gli

Y. Gioberti, Del rinnovamento civile d’Italia - n.

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