Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 2, 1911 - BEIC 1832860.djvu/375

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Non nego che questo vizio non abbia un lato buono, poiché in virtú di esso i subalpini sono, come dice il Botta, «uno dei popoli della terra meglio fazionati a governo» (0. Ma questa lode, quando è sola, è assai dubbia; poiché a tal misura, se il Piemonte avanza il resto d’Italia, la cederebbe ad un pecorile. La docilitá e pieghevolezza soverchia impedisce che i civili instituti portino i loro frutti, perché la libertá non versando nelle scritte ma nei costumi, allorché l’animo è schiavo, la legge non basta a far libero. Tali erano quei romani degeneri che stomacavano Tiberio, benché avido di potenza, e lo faceano sciamare all’uscir di senato: — O gente nata a servire!! 2 ) — Che importa, per cagion di esempio, l’ immunitá della stampa, se non puoi bandire il vero ed il giusto senza incorrere nei vitupèri? Potrei io scrivere queste cose se fossi in Piemonte? La docilitá è virtú degna dei popoli liberi quando riguarda la legge e non i potenti, e reputa la libertá un diritto anzi che una grazia. Altrimenti è luogo di ripetere ciò che Agesilao e Callicratida dicevano degli ioni dell’Asia, chiamandoli «cattivi liberi e buoni schiavi» ( 3 ), perché non osavano esser franchi se non di licenza del principe. L’ossequio che trasmoda ha dell’empio, rivolgendo ai mortali quel culto che solo a Dio si addice; e come gli uomini religiosi ringraziano il cielo eziandio dei mali, cosi fanno i cortigiani verso i grandi e i monarchi ( 4 ). Né l’animo che è servile riguardo ai viventi può esser libero verso i morti; onde nasce che il Piemonte non ha quasi storia, perché gli annali che vi si chiamano «patri» raccontano i principi e non il popolo, e non sono una critica ma un panegirico.

Coloro che si rallegrano di queste doti, perché rimuovono il pericolo delle rivoluzioni, non si avveggono che elle chiudono

(O Storili ii’ Haliti continuata da quella de! Guicciardini, s.

I’) Tac., Ann., ni, 65 (traduzione del Davanzali .

(3) Pi. ut., Apopiit.

(4) «... Quis finn omnium rum dominante sermonum, grates agii» (Tac., Ann., xiv, 36). «... actaeque insuper Vitellio gratiae, consuetudine servi! il» (In., ffist., 11, 71). «... quum adnuisset, agi sibi gratias passus est , nec erubuit benefica invidia» (lD., Agr., 42).