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382 | del rinnovamento civile d’italia |
Purché si abbia uno statuto e che la scranna ministeriale, le presidenze, le provvisioni, le cariche sieno accessibili agli avvocati, i subalpini non hanno da chieder altro e possono toccare il cielo col dito. Il Cavour è uomo di un’altra tempra. Egli sa che nella societá umana la civiltá è tutto e senza di essa il resto è nulla. Egli sa che gli statuti, i parlamenti, i giornali e tutti i corredi dei governi liberi, ancorché giovino ad alcuni, rispetto al pubblico son misere frasche se non aiutano i progressi civili. Non basta dunque che lo Stato sia libero, ma è d’uopo che si avanzi nella carriera dei perfezionamenti, che si accresca d’industrie, di traffichi, di ricchezze e di utili cognizioni. Ma come il può se non è una nazione? Cosí, da un lato ripudiando l’unione italiana per amore della metropoli, dall’altro volendo pure che il Piemonte proceda nella cultura, il Cavour fu costretto a considerare la piccola provincia come fosse grandissima; quasi che il nome e il concetto mutino l’intima ragion delle cose. Il liberalismo patrizio, che nel Balbo e nell’Azeglio era italico, nel Cavour si rendette subalpino, ma in modo assai piú nobile che nel Pinelli e ne’ suoi consorti. Questi da gretti borghesi abbassano la nazione alla misura del municipio, laddove il gentiluomo illustre (se mi è lecito usare la favella dei matematici) s’ingegna d’innalzare il municipio alla potenza nazionale. Questo è il carattere pellegrino dell’amministrazione di Camillo Cavour e la chiave della sua politica, la quale sarebbe ottima se il Piemonte fosse l’Italia o almeno avesse quindici o venti milioni di abitatori.
Annoverando altrove i molti e gravi danni che derivano al Piemonte dalla solitudine a cui lo ridussero i municipali, io lasciai indietro il maggiore di tutti, cioè l’impotenza dei progressi civili. I quali hanno d’uopo di un gran concorso di forze, d’ingegni, di talenti, di braccia; onde non capono in quelle aggregazioni che non hanno la debita misura. Gli Stati piccoli e gli smisurati si somigliano in questo: che sono del pari inetti a progredire, perché hanno scarsa e lenta la vita, come quei corpi nani o giganti che nel regno animale sono impotenti alla generazione. La sapienza della natura stabili le grandezze