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capitolo duodecimo | 37 |
quanto i comuni ed urgenti interessi della nazione lo richiedevano.
— L’intervento violava la sovranitá del popolo toscano, il quale avea il diritto di ordinarsi come voleva. — Le ragioni testé riferite riguardo agli Stati parziali militano del pari rispetto ai popoli particolari. Il popolo toscano non è il popolo italiano ma solo una parte di esso, e la sovranitá appartiene al tutto, non alle parti. Se si concede a un membro della nazione il disporre di sé a piacimento, eziandio contro agl’interessi comuni, si dovrá permettere il simile a tutti gli altri; e cosí verrá reciso ogni legame reciproco, e in vece di una sola patria si avrá un guazzabuglio di municípi sciolti e discordi fra loro. Non poteva permettersi ai toscani di turbare il moto nazionale con un moto politico che in vece di nuocere giovava al nemico, senza autorizzare i piemontesi a fare altrettanto. Rotti i vincoli di nazione, non vi ha piú autonomia né patria indivisa fra molti: ogni Stato, ogni provincia, anzi ogni comune è signore assoluto nel suo giro, solo obbligato a se stesso, estrinseco a tutto il mondo. In tal caso non veggo come il popolo subalpino non potesse, per atto di esempio, allegarsi al Tedesco in vece di fargli guerra, non essendo piú forestiero a suo riguardo che verso il resto d’Italia; anzi rendersi austriaco, se gli metteva conto, e giurar fede all’imperatore. Se ciò par troppo benché sia logico, concedasi almeno che non si può colpare il Pinelli se agogna una lega austrorussa; e si debbono assolvere le onte della mediazione. Cosí quei democratici che avversavano l’intervento incorrevano senza addarsene nell’errore dei municipali, il quale appunto risiede nel conferire a ogni Stato e provincia la signoria propria della nazione. E venivano a giustificare il municipalismo toscano, come i nemici della lega, della guerra, del regno dell’alta Italia favorivano il piemontese.
L’assegnare alle membra quell’onnipotenza che è propria di tutto il corpo apre l’adito ad assurde inferenze e a disordini infiniti. Quando Pio nono aggirato da cattivi consigli ricusò di cooperare alla crociata patria, egli non contravvenne mica agli ordini dello statuto, i quali lo facevano arbitro della guerra e