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capitolo duodecimo 67


L’indugio di poche settimane bastava per far concorrere la ripresa delle armi italiane coi trionfi delle ungariche, le quali avrebbero colla sola fama vantaggiate le nostre. Ma i ministri non vedevano i fatti lontani e non prevedevano i successi vicini: rannicchiati nelle loro stanze, ignari degli eventi che si preparavano oltre l’Alpe e incalzati da un destino di cui erano artefici, perdettero il piú bel taglio di accrescere moralmente coll’altrui diversione le proprie forze e di vincere.

Ridotti a tali strette, eglino avrebbero almeno dovuto lasciare il grado spontaneamente: trascurando essi di farlo, il re era in obbligo di supplire accommiatandoli. Ma i due partiti erano difficili dopo il tiro usato a mio riguardo e le cose dette alla Camera. Cosí un errore trae l’altro e un primo puntiglio impegna l’amor proprio e necessita l’ostinazione. Non si volle confessare di avere il torto e si amò meglio di dar ragione al Tedesco; il che era si grave che io noi volli credere quando giá la tregua era rotta1. La pena fu terribile e pari alla colpa, imperocché non si ricorda appena nella storia un disastro campale cosí subito e definitivo come quel di Novara. Non è giá che molte delle schiere combattitrici dimenticassero il solito valore o che si perdesse per tradimento del principe, come i puritani ebbero faccia di pubblicare. Carlo Alberto, secondo il suo costume, fu intrepido ed eroico: Alberto Chrzanowski adempiè con pari senno e valore tutti gli uffici del capitano. Non tocca a me il decidere se il disegno della battaglia fosse buono o cattivo: dirò solo che prima del fatto ebbe l’approvazione di giudici competenti. Ma ancorché fosse stato ottimo, lo scoramento degli uni, l’indisciplina degli altri, l’indocilitá del Ramorino (che non fu sola) sarebbero bastate a mandare in malora ogni cosa. Se i retrogradi e i puritani ci cooperassero in prova, io non lo so: ben è vero che gli uni e gli altri si rallegrarono della sconfitta. È pur certo che



  1. Allorché io scriveva nel Saggiatore die la guerra non si poteva fare, l’armistizio era giá cessato (Operette politiche, t. ii, pp. 363, 364, 365). Come tosto n’ebbi notizia, per impedire che le mie parole accrescessero la disfiducia, m’ingegnai nello stesso giornale di far nascere il coraggio dalla necessitá (ibid., pp. 366-370).