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Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 2, 1911 - BEIC 1832860.djvu/70

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66 del rinnovamento civile d'italia


Le pubbliche schede calarono in Francia come in Piemonte; dal che si può far ragione del credito che la politica da me professata aveva in Europa. Se i democratici delle provincie e della metropoli, ingannati dai falsi romori, se ne rallegrarono e i puritani ne imbaldanzirono, gli uomini savi per contro ne presero spavento e l’esercito rimise di quella fiducia che cominciava a rinascere. Né mancò chi ne scrivesse dal campo a Torino; ond’era prono il conchiudere che se prima la guerra era difficile, ormai veniva meno ogni modo di farla. Ma i ministri, governandosi con una leggerezza incredibile, non aveano pensato ad altro che a rimuovere un compagno incomodo e restar soli in sella, senza provvedere al futuro. Non aveano antiveduto che, mancando la pubblica fiducia e la riputazione, sarebbe loro stato impossibile il governare e che in vece di crescere in libertá ne avrebbero scapitato, costretti da un lato a riguardare il nuovo ministro che a guisa di aio il re pose a sopravvegliarli, schiavi dall’altro degl’immoderati e ridotti ai partiti precipitosi per mantenersi. La Camera, ignorando il vero stato delle cose, voleva la guerra, e il buon vecchio Fraschini l’intonava con bellicoso peana nel riferire i sensi comuni al cospetto del principe. Cosicché da un lato era cresciuta la necessitá di combattere, e diminuita dall’altro la probabilitá di vincere. Urbano Rattazzi cercò in appresso di giustificare la deliberazione presa, con tale necessitá1; ma si scordò di avvertire che questa era volontaria e imputabile a coloro che aveano ripudiato il solo modo possibile di ritardar la battaglia e assicurar la vittoria.



    qu’accroître son influence et l’autoritè de sa parole. Autour de lui se rangeront comme avant tous ceux qui espèrent et ont foi en l’avenir de l’Italie, quelles que soient les tristesses du prèsent» (Revue des deux mondes, ier avril i849). Io non posso dolermi dei biasimi interposti alle nobili e cortesi parole del signor Geofroy, perché egli giudicava dei fatti preteriti secondo il racconto fattone poco innanzi da Massimo di Azeglio suo amico. Il quale, come vedemmo, essendo lontano, aveva innocentemente prestato fede alle calunnie dei municipali, accusandomi di maneggi poco onorevoli e magnificando il Pinelli e la sua politica. Se all’egregio francese fossero stati cónti i princípi e i progressi del ministero di agosto, egli avrebbe veduto che non mi occorreva di «tornare alle tradizioni e antecedenze» da cui non mi era mai allontanato.

  1. Nella tornata dei i5 di dicembre i849.