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78 del rinnovamento civile d'italia


dunque a sindacato senza scrupolo il regno civile di Pio nono, e non che mancargli del dovuto rispetto stimo di fargli quel maggior servigio che può uomo privato, imperocché, come nota un antico, «la sola cosa che manchi a coloro che posseggono tutte le cose si è uno che dica loro il vero liberamente»1. Che se, come dice Dante, «ciascuno vero rege dee massimamente amare la veritá»2, ciò ha luogo sovrattutto quando gli obblighi del principe sono accresciuti ed avvalorati dalla sacra dignitá del pontefice.

Pio nono è senza alcun dubbio il principe piú singolare. Il suo regno si può distinguere in due epoche distinte e contrarie, la seconda delle quali consiste nel distruggere le opere della prima. Come Clodoveo di Francia egli brucia ciò che adorava e adora ciò che dava alle fiamme, e a guisa di Penelope disfá nella notte la tela intessuta nei di sereni della sua potenza. Per modo che si può dire aver egli adunato nel breve corso di questa ogni sorta di contraddizioni politiche e di dissonanze. Benedice e consacra l’indipendenza d’Italia, e chiama nel seno di essa ogni generazione di stranieri e di barbari. Dá a’ suoi popoli un civile statuto, e lo ritoglie. Biasima i tempi gregoriani, e peggiorati li rinnovella. Parteggia pei popoli contro le avanie dei principi, e si collega coi principi a sterminio dei popoli. Loda l’insegna patria di Carlo Alberto, e applaude alla tirannide di Ferdinando. Abbandona e scaccia i gesuiti, poi li richiama e dá loro in pugno il maneggio delle cose sacre e civili. Abbraccia Antonio Rosmini e gli promette la porpora, poi lo tradisce in mano degli sgherri di Napoli e lascia che i suoi libri si censurino, la sua dottrina si calunni, il suo nome si laceri. Concede al Parmense e al Borbone napoletano3 di violare i chiostri illibati, all’ imperatore tedesco di scacciare i preti della caritá cristiana, di esautorare, sbandire, incarcerare, straziare,



  1. Sen., De benef., vi, 29. «... suadere principi quod oporleal, multi laboris: adsentatio erga principem quemeurnque sine adfectu peragitur» (Tac., Hist., i, i5).
  2. Conv., iv, i6.
  3. Sulle violenze del re di Napoli verso Montecassino vedi il Massari, Il Risorgimento, 6 aprile i850.