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Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/135

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libro secondo - capitolo ottavo 129

con essa al difetto delle lettere proprie, e saremmo inescusabili se trascurassimo di darvi opera. Ora questa letteratura sussiste e i suoi tesori ci sono in pronto, servendo essi di base e d’inviamento alla gentile educazione di Europa. Dalle lettere grecolatine nacque la civiltá moderna, e le lingue che si chiamano «romane» sono una propaggine di quella del Lazio. La qual cognazione è ancora piú stretta, piú intima, piú immediata per ciò che riguarda l’Italia, seggio natio della cultura latina, che è il vincolo per cui l’italianitá moderna si conserta colla grecitá antica. Per la qual cosa, se fra gli oltramontani si può dare eccellenza letteraria che non risalga a cotali fonti, l’esperienza di piú secoli insegna che l’ingegno italiano non può fiorire e fruttare nelle nobili lettere se non s’innesta sull’antichitá classica; e che ogni qual volta gli spiriti se ne sviarono, non che far nulla di grande, riuscirono a schifi aborti e misere corruzioni. La trascuranza degli antichi esemplari è una delle cagioni principali della nostra scaduta letteratura, e oggi regna piú ancora che in addietro; onde non ha guari si udiva in Piemonte la singolare proposta di sostituire nell’insegnamento non so quale idioma esterno al latino, combattuta da Lorenzo Valerio con

poche ma nobili parole, applauditissime dalla Camera. Ma a che giova l’insegnare ai fanciulli la lingua antica d’Italia, se, fatti giovani e adulti, diventano incuriosi di essa non meno che della moderna? e se i popoli transalpini e trasmarini, di cui ci piace cinguettar le favelle, sono assai piú solleciti di tali studi, che per ragione di origine ci appartengono in proprio e dovrebbero esserci cari e domestici piú di ogni altro?1. Fino a




V. Gioberti, Del rinnovamento civile dell'Italia - iii.

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  1. «Si in romanas litteras tam acriter inveherentur germani, si galli, si britanni, non equidem indignarer, facilemque iis veniam omnino dandam putarem. Ecquis enim miraretur, huiusmodi populos a sermone illo abhorrere, qui imperiosus olim et molestus proavorum suorum auribus accideret; qui graviores olim leges, vectigalia, stipendia superbe ipsis imposita in memoriam revocaret; qui proconsules et procuratores meminisse illos iuberet, qui inique interdum ius redderent, privatorum fortunas diriperent, aerarium expilarent, fana depecularentur, provincias exinanirent? Quo tandem animo existimatis, romanos scriptores ab iis gentibus evolvi, apud quos passim offendant magnificas proeliorum descriptiones, ex quibus maiores sui victi discederent, urbes suas incendio corruptas, oppida diruta, agros vastatos,