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Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/166

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160 del rinnovamento civile d’italia


religioni sono infami e detestabili»1, tanto è lungi che acquistino o possano acquistar vera gloria, la quale non può nascere dal distruggere, essendo il riflesso dell’idea creatrice. L’ingegno grande è religioso, perché supera gli altri uomini nel vivo concetto dell’infinito, onde nasce ogni suo valore; e benché finito, sente di essere una potenza originata da radice infinitesimale. Ed essendo un rampollo dell’infinito, tende ad esso come a suo termine e aspira ad attuarlo finitamente nel giro dei pensieri e delle operazioni. Allorché per misventura dei luoghi o dei tempi gli spiriti privilegiati trascorrono all’empietá, non però dismettono affatto il carattere ideale; poiché, increduli per opinione, son tuttavia religiosi per istinto, e spesso, per supplire alla fede, danno luogo alla superstizione, la quale è lo scambio e la parodia di quella. Erra pertanto chi crede essere stati impostori ed ipocriti assolutamente Alessandro, Maometto, Oliver Cromwell, Napoleone, i quali spesso finsero nell’uso che fecero della religione, ma non mica quanto al concetto di essa in universale. Entusiasmo e ipocrisia troppo ripugnano, né si dá ingegno creatore senza un nobile e vivo entusiasmo. Da questo era mosso Scipione a passar molte ore nei penetrali del Campidoglio2 e Giulio Cesare a



  1. Disc., i, 10.
  2. Vedi Livio, xxvi, 19. «Naturae indole et institutione praestantissimus fuit: neque animo solum, sed etiam sermone, ubi opus esset, magna spirabat, eaque factis ipsis exsequebatur: sic ut et mente et rebus gestis magnus, non ex vana ostentatione, sed ex sola animi constantia videretur. His de causis, et quod singulari religione deos coleret, militiae dux electus est. Nullum enim ille negotium, nec publicum nec privatum, aggredi unquam solebat, priusquam conscenso Capitolio aliquandiu ibi persedisset: unde et fama fuit illum Iovis in draconem versi satu editum esse: eaque opinione plurimis magnam de se spem iniecit» (Dion. Cass., Fragm., lvi, 1, 2). Dione non è il solo autore che reputi «eccellentissimo» l’Affricano. Il Machiavelli, Capitolo dell’ingratitudine, cosi ne scrisse:

         E tra que’ che son morti e che son vivi
    e tra le antiche e le moderne genti,
    non si trova uotn che a Scipione arrivi.

    E il Tasso diceva che niuno si può «alla virtú del maggiore Affricano agguagliare» (Risposta di Roma a Plutarco).