Vai al contenuto

Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/167

Da Wikisource.

libro secondo - capitolo nono 161


credere negl’iddii e nella fortuna1. Anche l’orgoglio, che induceva i potenti dell’antichitá a indiarsi per natura o per filiazione, contiene un tacito omaggio all’idea, poiché il superbo non penserebbe a usurparne il luogo, se non l’avesse per signora degli spiriti e dell’universo. Oltre che, nell’albagia trapela la cognazione divina dell’ingegno, il quale, concreando a similitudine del suo fattore, riconosce in se stesso l’effigie di quello e quasi una teofania stabile negli ordini naturali.

L’idea, prima di trasfigurarsi in azione, suol passare per un grado interposto e pigliar forma d’ immagine o fantasma, giacché la fantasia tramezza fra le potenze conoscitive e le operative, come il bello tra il vero e il buono e partecipa delle une e delle altre. Questo atto secondo del pensiero è la poesia, la quale è piú che la semplice speculazione, poiché dá ai concetti

una certa sussistenza2, ed è meno dell’azione, poiché cotal sussistenza non è effettiva ma fantastica. Perciò «poeta» vuol dir «facitore», e gl’ingegni grandi hanno tutti piú o meno del poetico, o sieno essi speculatori od attori. L’essenza della poesia consiste nel creare un composto armonico d’idee e quasi un mondo artificiale a imitazione del naturale, dandogli un essere concreto, benché ideale, nei campi dell’immaginativa. Ora ogni dottrina e ogni impresa ingegnosa è un’opera dello stesso genere: un sistema scientifico è un poema d’idee, come una spedizione illustre, uno Stato, un culto è un poema di fatti, di riti, d’instituzioni. Corre fra le tre specie questo solo divario: che il pensatore non traduce i suoi concetti in immagini, né il poeta le




V. Gioberti, Del rinnovamento civile dell'Italia - iii.

11
  1. Cesare, quando le cose parevano disperate a Munda, «deos omnes in vota vocabat, sublatis ad coelum manibus, ne uno ignominioso conflictu abolerentur tot egregiae victoriae» (Appianus, De bello civili , iii, 493). Prima del conflitto di Farsaglia, «de media nocte operatus sacris Martis et genitricis Veneris; nam a Iulio Aeneae filio Iulia gens et nomen ita genus ducere creditur, simulque aedem deae vovit in urbe sacrandam si propitiam iuvaret victoriam» (ibid., 470). «Plus fortunae fidebat Caesar quam consiliis» (ibid.). L’antitesi però non è giusta: consulta Gesuita moderno, t. iv, pp. 129-30, nota. «Venerem vero omnino totus colebat, a qua se etiam formae venustatem habere, persuadere omnibus conabatur. Igitur Venerem armatam annulo insculptam gestabat, eaque tessera in summis plerumque periculis utebatur» (Dion. Cass., Hist rom., xliii, 43).
  2. Consulta il Bello, cap. 3, 6.