Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/167

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credere negl’iddii e nella fortuna (*). Anche l’orgoglio, che induceva i potenti dell’antichitá a indiarsi per natura o per filiazione, contiene un tacito omaggio all’idea, poiché il superbo non penserebbe a usurparne il luogo, se non l’avesse per signora degli spiriti e dell’universo. Oltre che, nell’albagia trapela la cognazione divina dell’ingegno, il quale, concreando a similitudine del suo fattore, riconosce in se stesso l’effigie di quello e quasi una teofania stabile negli ordini naturali.

L’idea, prima di trasfigurarsi in azione, suol passare per un grado interposto e pigliar forma d’ immagine o fantasma, giacché la fantasia tramezza fra le potenze conoscitive e le operative, come il bello tra il vero e il buono c partecipa delle une e delle altre. Questo atto secondo del pensiero è la poesia, la quale è piú che la semplice speculazione, poiché dá ai concetti una certa sussistenza ( 2 h ed è meno dell’azione, poiché cotal sussistenza non è effettiva ma fantastica. Perciò «poeta» vuol dir «facitore», e gl’ingegni grandi hanno tutti piú o meno del poetico, o sieno essi speculatori od attori. L’essenza della poesia consiste nel creare un composto armonico d’idee e quasi un mondo artificiale a imitazione del naturale, dandogli un essere concreto, benché ideale, nei campi dell’immaginativa. Ora ogni dottrina e ogni impresa ingegnosa è un’opera dello stesso genere: un sistema scientifico è un poema d’idee, come una spedizione illustre, uno Stato, un culto è un poema di fatti, di riti, d’instituzioni. Corre fra le tre specie questo solo divario: che il pensatore non traduce i suoi concetti in immagini, né il poeta le

(1) Cesare, quando le cose parevano disperate a Munda, «deos omnes in vota vocabat, sub/atis ad coelum omnibus, ne uno ignominioso conjiictu abolerentur tot e gre giá e victoriae» (Appianus, De bello civili , ili, 493). Prima del conflitto di Farsaglia, «de media norie operatus sacris Mariis et genitricis Veneris; nani a Zittio Aeneae filio dulia gens et nonten ita genus ducere ereditar, simulque aedem deae vovit in urbe sacrandam si propitiam iuvaret victoriam» ( ibid ., 470). «Plus fortunae fidebat Caesar guani consi/iis» (ibid.). L’antitesi però non è giusta: consulta Gesuita moderno, t. IV, pp. 129-30, nota. «Venerem vero omnino lotus colebat, a qua se etiani fortnae 1 enustatem habere, persuadere omnibus conabatur. dgitur Venerem armai am annulo insculptam gestabat, eaque tessera in summts plerumque pericuhs utebatur >» (Díon. Cass., ddist rotti., xliu, 43).

(2) Consulta il Bello, cap. 3, 6.

V. Gioberti, Del rinnovamento civile d’Italia - in.

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