Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/322

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nelle parole. Ora io dico che, a giudizio di tutti i veri italiani, ignobile e vile è ogni pace che non mantenga assolutamente intatta l’autonomia italiana e inviolato il patto costitutivo del regno italico. Ciò dissi in termini espressi al professore Merlo e agli altri suoi colleghi da me menzionati ; ed essi in termini non meno formali dichiararono di aver per onorato un accordo che salvasse il Piemonte, ancorché offendesse l’unione contratta e l’indipendenza assoluta dell’ Italia settentrionale. La dichiarazione del professore Merlo su questo capo discorda dunque solo in sembianza dal mio racconto, e consuona seco in effetto.

Quanto al disegno attribuitomi della guerra a ogni costo, io chieggo in prima che s’intenda per questa parola. Se si vuol parlare di una guerra da farsi anco dopo ottenuta e assicurata l’autonomia e l’unione italiana, che era il doppio fine del mio programma, il concetto è talmente assurdo che niuno certo mi crederá capace di averlo accolto anche per un solo istante. Se si vuol discorrere di una guerra impossibile, di una guerra da farsi senza i mezzi di farla, senza la speranza e la probabilitá della vittoria, l’assurditá non è minore; e io, discorrendo coi nuovi ministri, mi fondai espressamente nel presupposto contrario, poiché riconobbi che si dovea rinunziare alle armi se il ripigliarle era impossibile. Ma negai questa impossibilitá; affermando che si potea rifare l’esercito e aver ferma fiducia di vincere, sovrattutto se al vigore degl’interni apparecchi si aggiungeva il sussidio francese. Se poi per una guerra a ogni costo si vuol significare l’uso attivo, industrioso, energico di tutti gli spedienti, materiali e morali, opportuni a combattere e vincere, che il paese può somministrare, io confesso di aver desiderata e di desiderar tuttora una tal guerra; e non che pentirmene o arrossirne, me ne glorio, perché ciò mostra che, al parer mio, le guerre d’ indipendenza non si posson fare coi confetti e coll’acqua nanfa; ciò mostra che i ministri, non volendo una guerra intesa in questi termini, abborriscono dai sacrifici gloriosi e richiesti a mettere in salvo i supremi interessi e l’onore della prima fra le nazioni.

Rispetto poi alle pratiche di pace, io confesso che le ho sempre considerate come inettissime senza le armi a mantenere illesi i nostri diritti, e che ho sempre riso nel mio cuore di chi stimava il contrario. Che l’Austria sia per cedere tutti i domini ricuperati e riconoscere il regno italico senza che la spada si tragga di nuovo dalla guaina, è tal sentenza che ora non si farebbe pur