Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/374

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i cui forse era stato regalato da Giuseppe Massari. A dir vero, piú che di un abbozzo si tratta d’una completa stesura, quasi sempre assai piú piena di quella definitiva, e che, se dal punto di vista scientifico non offre varianti che esorbitino da un’interesse di mera curiositá erudita, da quello letterario costituisce un documento di prim’ordine, in quanto mostra quale cura minuziosa ponesse il Gioberti nel curare la forma del suo lavoro, che nell’ultima redazione prese una veste toto caelo diversa e sempre molto migliore di quella adoperata nel primo getto (0.

(i) Non posso, per amore di brevitá, entrare in maggiori particolari. E debbo limitarmi a dare qui, in nota, a titolo di saggio, soltanto un brano di questa prima redazione, tolto dal n capitolo e corrispondente alle pp. 71-3, 75-8 del 1 volume della presente edizione. — «Il breve periodo corso da questa repubblica si può distinguere in tre spazi, che io chiamerei, dall’elemento che prevalse, economico, regressivo e progressivo. 11 primo si stese fino ai tumulti di giugno, e fu un conato innocente per mettere in atto certe utopie impossibili, che ebbe un fine sanguinoso e spaventevole. Quei pochi mesi mostrarono quanto i repubblicani fossero impreparati alla repubblica. Le cinque terribili giornate di giugno necessitarono la dittatura; e il sangue sparso tolse il credito alla repubblica e agevolò ai conservatori e ai fautori della monarchia il riassumere lo Stato e apparecchiare il ristauro di quella. E avrebbero sortito l’intento senza due errori capitali degli orleanesi e costituzionali, che erano la parte piú forte dei conservatori, cioè la lega loro coi legittimisti affezionati all’assoluto dominio e odiosi al popolo di Parigi, e coi gesuiti odiatissimi. Promotore ardente di questa politica fu un uomo [ corretto su «il signor Thiers»], il quale non s’accorse che, cosi governandosi, ripeteva gli errori del suo precessore e rivale [corretto su «del signor Guizot»], da lui biasimato, e che voleva salvare la societá, sotto la repubblica, cogli stessi spedicnti che l’aveano rovinata sotto la monarchia; anzi che gli esagerava e aggiugneva coi traviamenti del secondo quelli del primo ramo borbonico, poiché Filippo non calò mai si basso da abbracciarsi colla Compagnia. L’altro fu la spedizione di Roma, non giá in se stessa ma pel modo, come piú innanzi discorreremo; piú iniqua moralmente e piú assurda politicamente che l’antica spedizione di Spagna, che favori da lontano la caduta di Carlo; onde si fece in nome della repubblica e nel quarantanove ciò che saria stato soverchio sotto gli ordini del quindici. Con questi due falli enormi, che lasciano desiderar nei loro autori il senno piú volgare, cioè colla lega retrograda e gesuitica che fu il principio e colla spedizione romana che ne fu l’applicazione e l’effetto, si chiuse il secondo periodo e cominciò il terzo che ancor dura... [lacuna: tutto librano che segue è cancellato ]. Vero è che il ministero Cavaignac e quello del Barrot erano disposti a aiutarci e che il loro buon volere andò a male per l’incredibile stoltezza del governo piemontese. Ma essi vollero farlo mollemente, imperfettamente, e cedettero alla resistenza subalpina, in vece di superarla. Nel che non condanno quegli uomini, ma il partito che rappresentavano. Un governo ardito e forte, che avesse compreso l’Europa e antiveduto l’avvenire, avrebbe compreso che la grandezza d’Italia è necessaria alla grandezza di Francia. Avrebbe compreso che l’antica politica, per cui l’unione e la forza della penisola era creduta nociva ai francesi, non è piú adattata ai di nostri; imperciocché la Francia non può conservare la sua potenza se non mediante la