Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/375

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Ripigliando la storia esterna del Rinnovamento , nuovi documenti chiedeva il Gioberti, e stavolta al Massari, il 18 gennaio 1851 (*>; e cioè il programma del ministero D’Azeglio, il discorso della corona e il resoconto della «tornata della Camera, in cui egli ex-ministro, diede del mentitore ai colleghi che negavano aver saputo dell’intervento»; il qual resoconto inseri anche nei Documenti e schiarimenti ( 2 ). Frattanto il segreto sulla nuova opera era cosi ben mantenuto, che a Torino moltissimi domandavano al Pallavicino: — Perché Gioberti non scrive? — Al che egli rispondeva: — A quanto io so, l’altissimo filosofo s’occupa di filosofia (3). — Ma piú che occuparsi di filosofia, il Gioberti, in quel momento, cercava di venire a una conclusione col Le Monnier. E gli riscri libertá, se non costituendo un Occidente libero da opporre all’Oriente dispotico e alla marittima dell’ Inghilterra. Napoleone volle rifare servilmente l’opera di Carlomagno; dovecché avrebbe dovuto esser non il Carlomagno del medio evo ma quello della etá moderna, ricostituendo la nazionalitá e la libertá. Ciò che non fece il Bonaparte, ciò che non fecero i Borboni instaurati, ciò che non fece Filippo, dovea farlo la repubblica francese. Ma in vece questa segui gli errori di Filippo, degli altri Borboni, del Bonaparte, e lasciò indietro solo le loro virtú. I potentati del settentrione erano nel quarantotto impreparati a ogni evento; armi poche, indisciplinate, infedeli ; la rivoluzione in casa. La Francia potea esser arbitra di Europa. Dopo i disastri della prima campagna di Lombardia dovea andar setiz’esser chiamata, accorrere a soccorso del Piemonte, costituire il regno dell’alta Italia, vincere le irresoluzioni di Pio, opporsi alla riazione napolitana, tener unita la Sicilia col Regno, opporsi ai tentativi dei demagoghi, promuover la confederazione italiana, fare dell’ Italia costituzionale una confederazione unita, forte, potente. Ma in vece fece tutto il contrario. Secondò la sciocca politica del Piemonte, fu delusa dall’Inghilterra, accettò il disegno della mediazione, si rallegrò della riazione di Napoli per gelosia del regno dell’alta Italia (passo di Massari), lasciò in alcune parti d’Italia [in margine-, «Genova, Toscana, Livorno»] oratori che fomentavano scioccamente le mene dei demagoghi, lasciò che Pio stesse a lungo in Gaeta, quasi novella Avignone, e perdesse i pochi sensi di libertá che gli erano rimasi, non si oppose ai moti disordinati di Toscana e di Roma; e mentre i repubblicani francesi sinceri favorivan in Roma un fantasma di repubblica impossibile a durare, i conservatori si facevano vili strumenti dell’Austria per soffocarvi ogni libertá e ristabilire l’esoso dominio pretesco. L’intelligenza coll’Austria, che rovinò Filippo, rovinerá pure i conservatori, i quali sono si folli che lusingano e ubbidiscono a una potenza decrepita e dopo che mostrò la nullitá delle sue forze, nel mentre che l’astuta Inghilterra se ne separa. Non capi insomma questa gran veritá, pure ignorata da’ suoi precessori; che la leva della Francia per ordinare l’interno è al difuori e specialmente in Italia. La politica casalinga ed egoistica la rovinò. Le grandi tradizioni di Ermanno Richelieu sono spente».

(1) Massari, p. 490.

(2) Si veda sopra, p. 340 sgg.

(3) Lett. del Pali, del 23 genn. 1851, in Maineri, p. 96.

V. Gioberti, Del rinnovamento civile d’Italia -m.

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