Pagina:Giosuè Borsi - Lettere dal fronte, 1918.djvu/228

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e, per qualche tempo, lo confesso, mi sono anch’io, povero presuntuoso, creduto predestinato e designato al compito arduo e terribile di vincerne qualcuna. Tutto questo era bello, era lusinghiero, era desiderabile, ne convengo, ma non vale la mia sorte d’ora, ecco la verità; e davvero non so se sarei veramente contento d’avere scritta invano questa lettera. La vita è triste, è un penoso e increscioso dovere, un lungo esilio nell’incertezza della propria sorte. Perchè la vita mi trascorresse a seconda dei miei desideri e senza offrirmi mille amari disinganni, occorreva un concorso di circostanze troppo rare e difficili. E poi sono e mi sento debole, non ho la minima fiducia in me stesso. Tutta la lotta contro le ingratitudini e le iniquità del mondo non mi avrebbe spaventato come la lotta contro me stesso. Meglio dunque come è avvenuto, mamma. Il Signore, nella sua infinita bontà chiaroveggente, mi ha riserbato proprio il destino che occorreva per me, destino facile, dolce, onorevole, rapido: morire per la patria in battaglia. Con questo bel trapasso encomiabile, compiendo il più ambito tra i doveri del