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La strega 127


sere vedeva entrare un gatto nero in cucina sotto la panchetta nel canto del fuoco; a dargli mangiare, non lo voleva; a mandarlo via, dopo cinque minuti c’era daccapo. Una sera gli tirò una pedata da sfilarlo, e disse alla moglie:

«Secondo me non ci torna più a badare alla pentola!»

— La sera dopo, all’ora solita, lo rivede sotto la tavola. Cerca di arrivarlo, ma non gli riesce; un’altra sera lo stesso, e così per diverse volte. Una sera poi, stizzito, gli riuscì di chiapparlo, lo mise in un sacco, levò il chiusino alla buca da grano, che aveva sotto la loggia, ci buttò il gatto, il sacco, ogni cosa, richiuse la buca e andò a letto. Verso mezzanotte Cencio, che colla bestia veniva a far l’olio, quando fu di faccia alla loggia, sente come un lamento: lo sapete com’è pauroso; lasciò lì il bue, si dette a gambe, ed entrò nel fattoio col viso bianco.

— Nel vederlo trasfigurato in quel modo, gli domandarono che cosa fosse accaduto.

«Ma chi vuoi tu che ci sia a quest’ora! — gli dissero tutti; e si misero a ridere.

«C’è poco da ridere, — disse Cencio: — se non venite ad accompagnarmi, il bue lo lascio stare dov’è.»

Allora più per curiosità, che per altro, l’accompagnarono, e quando furono alla loggia, sentirono venir su una voce dalla buca che diceva: