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La strega 137


da tutte le parti; le case, una quarantina, tutte sudice, stonacate, colle finestre senza imposte, cogli usci sempre aperti: le sole case imbiancate erano due oltre la prioria. Le strade strette, tutte a salita, col massicciato sconnesso, fatto di ciottoli intramezzati coll’erba; monti di spazzatura da ogni parte; sulla soglia degli usci donne sudicie a rattoppar calzoni e giubbe strappate; ragazzi mezzi nudi, qualche cane allampanato a frugare in quei monti di spazzatura fra le bucce di cocomero e di popone, coperte di mosche.

L’Annina entrò nell’appalto; una bottega, scura, buia, che aveva per contrassegno una piccola asse bigia sulla porta, con un’arme di Savoia, fatta nel peggior modo che si possa immaginare. Mi ero fermato sull’uscio, mentre il bottegaio, uomo vecchiotto, tutto incartapecorito, colla camicia sbottonata e le maniche rimboccate metteva adagio adagio il sale colla mestola nella bilancia d’ottone, fatta nera dalle mosche, ed allungava il collo, guardando con la bocca aperta le tacche della stadera attraverso ai sudici occhiali. L'Annina mi toccò in un braccio:

— La vuol vedere la strega? La Cecchina? Eccola lì.

Era a sedere sull’uscio di un orticello vicino ad un mucchio di letame; intorno a lei tre ragazzi, che urlavano: