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Fioraccio 169

mandava l’anima a Dio l’uno con l’altro; non lo so neppur io come ci ritrovammo sul greto d’Arno, proprio dove l’acqua era fonda più che per tutto. Riconobbi il posto a mala pena. La bestia si fermò da sè.

— Qui, — disse un cappuccino.

— No, — replicò quella solita voce del camposanto! — Più acqua!... più acqua! — e giù bestemmie da far paura.

— Questa ti basti!

E quell’altro bestemmie... bestemmie...

— Qui, te lo comando in nome di Dio!

Si vide ad un tratto una gran fiamma come a buttare dello zolfo sul fuoco..... scappò come un forzaiuolo vestito di nero.... Si sentì un tonfo nell’acqua, un gorgoglìo.... si guardò il barroccio.... non c’era più nulla.

Si torna via: io arrivato a casa, staccai il barroccio, e misi la bestia nella stalla.

— Che sei tu? — mi disse la moglie. — Aspetta, ora mi levo.

Io non risposi, non mi pareva neppure che dicesse a me.

— Vuoi mangiare? iersera tu non cenasti; tu devi aver fame.... c’è questa braciola.... in due minuti è bell’e cotta. — E così dicendo si mise ad accendere il fuoco.

Io lo guardavo, mentre mia moglie mise su una fascina, che principiò a scoppiettare e a far faville; e dissi proprio senza badarci: