Pagina:Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II.djvu/15

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potentissime, e valevoli solamente a rattener quelle anime, più nella materia invasare (per favellar da Platonico) le quali niuno onesto fine si propongono, al quale con lodevoli, e gloriose azioni dirittamente debbano pervenire: la terza però, comune anche a’ buoni, e a coloro che serbano più del divino, consiste nella mancanza de’ mezzi necessarj, per potere a così fatto desiderio dar compimento; e quella si è, non saprei dir come, nelle nostre contrade, cotanto universal divenuta, che peggio far non si puote.

Per qualunque di questi versi però il difetto de’ nostri voglia riguardarsi, niuna scusa, per quel ch’io veggo, ci potrà essere per ricoprirlo; imperocchè, oltre esser troppo vano pensiero, il creder noi soli al Mondo da rai difficultà frastornati; egli non v’ha malagevolezza tale, che, colla sofferenza, e col consiglio, dall’uom savio superar non si possa1

Οἱκ ἔςιν γδὲν δεινόν ὧδ᾿ εἰπὶν ἔπος,
Οὺδὲ πάθος, γδὲ ξυμφορἀ θεήλατος,
Ης γκ ἂν ἄρομτ᾿ ἀθτρώπου φύσις.

Sono parole di Euripide, che M. Tullio così tradusse nella Latina favella2

Neque tam terribilis ulla fando oratio est,
Nec fors, nec ira cœlitum investum malum,
Quod non natura humana patiendo ferat.

Ed Orazio3similmente:

Durum, sed leutus sit patientia
Quidquid corrigere est nefas.

Dura cosa è certamente lasciare il natio terreno4 e non senza gran ragione disse Omero:

Ω᾽ς γδεν γλυκίον τῆς παξῖδος ἐςιν εκάςῳ.

cioè: Niente a chi che sia è più dolce della


b 2 patria;     
  1. Eurip. in Oreste.
  2. Cic. Tuscul. 4.
  3. Horat. i. i. od. 24.
  4. Eurip. in Oreste.