Pagina:Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. II.djvu/23

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Circa il biasimo, o laude; egli suol dire con gli amici: che del primo poco, o nulla gli cale; dell’altra non sente piacere: e perciò viene a lasciare in tuo arbitrio, farne qualunque giudizio più ti sarà in grado. Da certi ser contrapponi, ed Aristarchi salvatichi, che voglion dar di becco in ogni cosa, ha udito mormorare del Titolo stesso del libro, quasi magnifico, e vano. Risponde egli, che se non dà loro nell’umore, è almeno molto acconcio, ad esplicare, e fare una qualche immagine di ciò, ch’è suo proposito di divisare; ch’è il principal fine, a cui, nello intitolare i libri, dee riguardarsi. Lo stile, e la purità della favella, confessa di buon animo, non esser tale, che meriti essere approvato dagli uomini intendenti; imperocchè, come che ha scritto viaggiando, nè sempre con quella tranquillità di mente, che a ben tessere i suoi ragionamenti abbisognava, ben vede (quanto mai ciaschedun’altro) come allo spesso sia andato lungi dalle regole de’ buoni Maestri. Niente però di manco ti avvertisce primamente con Seneca, 1 che: Temeritas est damnare quod nescias; e poi dice cosi:

Referundæ ego habeo linguam natam gratiæ;
Eodem mihi pretio sal perbibetur, quo tibi:
Nisi hæc me, defendat numquam delinguet salem.

2 Cioè a dire, ch’egli sta per renderti frasche per foglie; non essendo al Mondo persona, che di alcun difetto non possa essere incolpata.

Io per me son sicuro, che benignamente userai seco, se vorrai recarti per la memoria, che non v’ha libro cotanto buono, che non contenga alcuna cosa di reo; e per lo contra-


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  1. Seneca ep. 92.
  2. Plaut. in Pers. act. 3.