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nali, possono garantire che chi li ha ottenuti sia o possa divenire un educatore, o, ciò che è più difficile e più importante, un’educatrice atta a dare un sano indirizzo all’animo delle fanciulle raccolte in un collegio.

Occorrebbe quindi assumere accurate e riservate informazioni sulla vita delle persone che aspirano a dirigere un convitto femminile prima di concedere loro l’autorizzazione di aprirlo, la quale si dovrebbe assolutamente negare a chi non dà serie garanzie di moralità e di rispetto alle patrie istituzioni.

Nè, facendo ciò, si viene a limitare nessuna libertà civile o politica. V’è forse in qualcuno il diritto di educare la gioventù a proprio talento, ispirando, per esempio, il disprezzo delle leggi dello Stato e delle autorità che le fanno eseguire e sentimenti contrarii al benessere e alla grandezza della patria? Se questo diritto non esiste in nessuno, neppure nei genitori, che sono gli educatori naturali della prole, si può dare la libertà di educare a chi professa notoriamente opinioni contrarie alle istituzioni che reggono lo Stato? Sarebbe lo stesso che dare in mano ad un nemico l’arma per farsi ammazzare; e un’arma terribile è l’educazione, sia per la vita, sia per la morte di una nazione.

Nè lo Stato può disinteressarsi dell’educazione dei futuri cittadini, perchè è l’ente che rappresenta la società legalmente costituita e deve, come ho già detto, pensare alla sicurezza e all’avvenire di essa. Perciò ha il dovere di vigilare seriamente sull’istruzione e educazione privata e di assicurarsi delle qualità morali di chi deve dirigere un istituto d’educazione, e specialmente un convitto femminile.