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110 Firenze Vecchia

Tutte risorse coteste, che rendevan sempre più facile e simpatico il nuovo regime dei liberatori.

Quando poi si allontanarono le truppe francesi, per assicurare «la tranquillità, la quiete e la sicurezza» della città il Comune fu costretto a provvedere, senza denari. E al solito se la cavò «con una deliberazione del 24 giug’no 1799 dichiarando ipso facto come descritti nel catalogo della truppa nazionale tutti i possidenti della città, senza eccezione alcuna, e i loro figli capaci di portar l’arme.»

Furono iscritti pure gli impiegati e i loro figli, e i pensionati.

Tutto questo «al fine di dimostrare alla nostra patria - servendo lo straniero - lo zelo, l’interesse, la fedeltà e l’attaccamento di cui ciascheduno è debitore verso la medesima!»

E siccome il Senato fiorentino, subentrato al governo francese, per fare onore alle deliziose truppe aretine ordinò uno spettacolo in onore di queste al teatro del Cocomero nella sera del dì 8 luglio, così la Comunità dovè pagare a Gaetano Grazzini, impresario di quel teatro, la somma di cinque zecchini per la spesa dell’illuminazione del teatro.

E la Comunità, che andava sempre più in rovina, si vide costretta ad incaricare il cancelliere Domenico Baretti di adoprarsi col signor — non si diceva di già più cittadino - Giovanni Marcantelli, all’effetto di raccogliere delle somme da darsi a prestito alla Comunità stessa, rivolgendosi «al signor Francesco Baldi, al signor Donato Orsi e ad altri banchieri di credito.»

Ma nessuno correva a prestare al Comune; il quale fu costretto nientemeno che ad implorare, con partito dell’11 luglio, dall’inclito Senato, l’autorizzazione di impegnare a favore di una persona da nominarsi che si era offerta di fare un prestito di mille scudi, «il fondo che serviva di residenza al Magistrato comunitativo!» cioè il palazzo della parte guelfa in Piazza San Biagio.

E benché si trovasse il Comune in queste misere condizioni, pur nonostante il gonfaloniere Orazio Morelli, che a