Καὶ γὰρ τὰ περὶ ἐμοῦ τέλος ἔχει.
Nel punto in cui di Galli armati schiavi
Entra in Firenze la masnada vile,
Com’uom che di se stesso ha ognor le chiavi,
Per sempr’io n’esco; e fia ’l mio uscir virile.
Chi può a schiavi obbedir, è a lor simíle.
Itali, spesa è troppo ben mia vita,
Se al non servir l’esemplo mio v’invita.
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Nabidi, e Cato; ripugnanti sempre,
Cui sola una cittade
Ambo a un tempo albergar, mai non accade:
Che se i tiranni (il cui ruggir deride)
Cato uccider non può, se stesso uccide;
Presto, al servir non mai, ma al morir sempre.
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Di Venezia, e di Genova, e di Roma,
E in ultimo di Malta,
La conquista si esalta.
Ma, senza palle e polve, appien si doma
Preti e frati e parrucche andantemente.
Pasto è bensì d’un po’ più duro dente
Il tor di mano ai liberi Britanni
Di Nettuno il tridente.
Di ciò fan fede i danni,
Per cui nel mar d’Egitto oggi si scorna
Quel vil, che fiacca, a chi non le ha, le corna.
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