Pagina:Gli sposi promessi III.djvu/188

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554 gli sposi promessi

mento.1 Si ricordò tosto che il suo nome era scritto sui libracci del Capitano di giustizia, e fece ragione ch’egli non sarebbe sicuro né in Milano né2 a Monza [né] a casa sua, né in alcuna parte dello Stato. — Se mi pigliano la seconda volta — diss’egli fra sé — sto fresco3 e lo merito...Ma dove andare? — 4 domandò a se stesso. — A Bergamo — si rispose. - E la strada? Domanderò a qualcheduno di questi galantuomini: chi m’ha ajutato non mi vorrà tra-

  1. [Il mio nome l’hanno bello e scritto, disse egli fra sé, qui | Il mio] Il mio nome sul loro libraccio, diss’egli fra sé
  2. fin dove
  3. Segno di richiamo, e a margine, in penna: « - e lo merito? - Quest'idea EROMPE come una schioppettata». A quesl osservazione pare si leghi quanto della stessa mano è scritto in un foglietto volante (è tra le pagine II e III del foglio 92, con l'indicazione in lapis «92 bis»), foglietto, che contiene come in ischema parte del testo che segue, riportandone anzi alcune frasi, e dice precisamente: «Scrivo alla rinfusa alcune idee. Il primo pensiero di Fermo fu di porsi in salvo. Le sue prediche, e speranze e pazzie del dì innanzi non erano del suo temperamento, ma occasionate da circostanze straordinarie. Il pensiero - troverò forse i miei compagni, - da lui avuto quand’era condotto via da' birri non era che un pensiero di speranza: - forse potrò liberarmi. - Ora si trovava liberato. Una buona lezione avuta richiama l'uomo ai suoi pensieri abituali, e Fermo alla prima aveva risolto di starsene fuori del tumulto. Gli stessi oggetti si presentano sotto forme diverse in circostanze diverse. La farina sprecata, il tentativo d’assassinare il Vicario, lo fecero avvertire assai meglio alla follia ed alla perversità de’ tumultuamenti. Fermo era un uomo onesto: e bramoso di esser lasciato stare, condizione quasi necessaria al suo tempo per essere onesto quando non si era potente. Si ricordò che era sul libro del Capitano di Giustizia e quindi di non esser sicuro nello stato di Milano. Gli venne in mente il cugino di Bergamo. Al fuggire de’ birri aveva udito più voci sclamare: «salvati fa’ presto» Seguì il consiglio, ma in parte. Per allora non ebbe altra idea chiara fuorché quella di star lungi dai pazzi, e forse dai tristi, non compromettersi più: essere davvero un buon figliuolo. Si cacciò a correre per una via sconosciuta onde separarsi dalla folla. Uscito dalla folla, camminò più posatamente, e cominciò a guardare ben intorno per riconoscere come stavano le cose in Milano. La sedizione che era stata la salute di Fermo non rialzava il capo che in qualche angolo della città, in tutto il rimanente la forza era tuttavia nelle mani avvezze ad usarla. Fermo vide ronde di soldati che giuocavano. (Cancellato soldati [innanzi a due pensò] innanzi a cui passò ed il popolo affollato ivi ma tranquillo e quasi taciturno.) Sbucavano da ogni parte i colleghi di coloro che i liberatori di Fermo avevano posti in fuga ecc. Allora Fermo pensò risolutamente d’andarsene a Bergamo. Allentò il passo e si diede ad affisare i vólti ecc.»
  4. A Bergamo. Fatta la sua risoluzione