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capitolo v - tomo iv. | 703 |
della mia carità: d’allora in poi non son più quello.1 Perpetua è morta, mi ha abbandonato in questi guaj; e mi tocca servirmi da me, povero vecchio, e malandato come sono. Ecco che appena cominciava a star bene, e voi venite per darmi nuovi travagli...»
«Signor curato,» disse Fermo: «io le desidero ogni bene; e del travaglio ella ne può bene aver dato a me, ma non2 io a lei, in fede mia. La spia ella non me la vorrà fare; del resto io mi rimetto nelle mani di Dio.3 Attenda a guarir bene, signor curato.»
«Sentite, sentite,» continuava Don Abbondio, ma Fermo aveva già fatta una riverenza di risoluto congedo, e camminava verso la casetta di Lucia.
— Oh povero me! questo ci mancava! — continuò a borbottare fra sé Don Abbondio, ritirandosi dalla finestra. — Povero me! Se costui va a Milano, se trova Lucia, se tornano alle loro antiche pretese, ecco rinnovato l’imbroglio. Un Cardinale che dirà: «voglio che si faccia il matrimonio», un signore che dice: «non voglio!» ed io tra l’incudine e il martello. Basta... - disse poi4 soffiando dopo d’avere alquanto pensato:5 — muore tanta gente... che dovessero rimanere al mondo6 tutti quelli che si divertono a mettere le pulci nell’orecchio di me pover uomo! —
Intanto Fermo arrivò alla casetta d’Agnese, la quale casetta, se il lettore se ne ricorda, era7 fuori del villaggio,8 solitaria. Alla vista di quel luogo,9 una nuova tempesta sorse nel cuore di Fermo; diede egli un gran sospiro e bussò.
«Chi è là?»10 gridò da dentro la voce d’Agnese: «state lontano; non bazzicate intorno alla porta; verrò a parlarvi dalla finestra.» «Son io,» rispose Fermo;ma Agnese, non aspettando a basso la risposta11 aveva fatte in fretta le scale, e apriva la finestra. «Son io: mi conoscete?» disse ancor Fermo quando la vide. «Oh Madonna santissima!» sclamò Agnese: «voi?» «Io,»12 rispose Fermo; «sono il benvenuto?»
«Oh figliuolo!» sclamò di nuovo Agnese, «quanto13 vi