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la frusta teatrale 95

Alla IV e alla VI scena del I atto segue la VII, ove dal tormento tra la debole donna e la vigorosa regina nasce i affermazione netta di una personalità non più incerta, regale, dominante. Tutto il I atto preannuncia il II che ridurrà a tragedia il motivo presentato qui ironicamente della coesistenza di umiltà e regalità. Ma questo movimento sentimentale ha i suoi limiti: e dove Schiller se li dimentica, precipita. L azione è statica, necessariamente ridotta ad analizzare con amore alcuni motivi che dilettano il poeta psicologo. Quando Maria Stuart vuole agire, uscendo dall’operoso idillio in cui vivono il suo presente e il suo passato, l’azione si converte inesorabilmente in intrigo — contrario alla poetica luce che hanno i fantasmi della femminile riflessione; — quando contro di lei lottano i suoi nemici — l’intreccio pare una discussione di accademici. In queste errate parentesi si matura la misteriosa tragicità della protagonista; ma solo perchè all’arte si è sostituito un processo di illusoria retorica, grata ad enfatici ascoltatori.

La funzione del II e del IV atto è stata dallo Schiller appena intravvista. La tragedia di Maria deve riprodursi, in diversi momenti, in Elisabetta. Su tutte e due le donne preme assiduo e incalzante un feto che le trascina alla catastrofe. Appare il motivo romantico della volontà inadeguata al rigorismo pratico che vuol professare. Ma il dramma di Elisabetta rimane un’oscura indecisione che s’effonde talora in vuotissimi rimpianti e discorsi sull’infelicità dei monarchi.

Domina tutte le incertezze il terzo atto: qui i moti sentimentali di Maria si armonizzano in analisi squisite. L’effusione lirica della donna, anzi della fanciulla, nel preludio introduce una spensieratezza che alterna secondo una