Pagina:Gobetti - La frusta teatrale,Corbaccio, 1923.djvu/94

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misura di mito la soverchiante responsabilità di un rigorismo etico che deve restare un elemento episodico per non alterare l’equilibrio. Il richiamo alla tragedia si esprime subito in una profonda perplessità. Poi le due regine sono di fronte perchè la loro lotta si esprima attraverso il superamento singolare dell’intimo dissidio di vanità e regalità. Maria è tutta viva, coerente con le premesse, nella sua finzione che ella medesima non sa più distinguere dalla realtà, dato che scaturisce dal suo immenso dolore; viva nella sua vittoria, nel tripudio di vitalità che le fa rinascere in cuore l’amore.

L’ultimo atto in un modesto raccoglimento, in una calma dignitosa espone modestamente i risultati come la morale della favola. L’azione di Elisabetta, la rinuncia di Maria escludono ogni drammaticità. Solo la solitudine dell’epilogo introduce un’ultima commozione in mezzo ai luoghi comuni teatrali.

Lo sforzo della Melato non inseguì queste esitanze e questi ripiegamenti, ma volle vestire un velo monotono se pur variopinto, di conclusa e riescita convenienza. Certe aspirazioni della Stuart alla regalità sembrarono penosamente autobiografiche, come il vano tentativo di volo dell’aquilotto. Tutto il resto (compostezza sobria, dignità di sacrificio, solennità di vibrazioni) rientra nei limiti dell’usata aspirazione decorativa e appena sì avvertono come nuove alcune pause pittoresche che interrompono la desolante tensione. L’opera trascende veramente le possibilità della nostra attrice. Nel dissidio tra la donna e la regina prevale secondo la sua recitazione una regalità manierata che si gode in noiosissimi accenti superlativi. Per questa voluta disciplina di storica austerità l’attrice non riesce poi