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Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/308

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GOGOL

mente la morte. Confesso, a me ha fatto sempre paura quella chiamata misteriosa. Mi ricordo che nella mia infanzia l’udivo spesso: qualche volta dietro a me qualcuno pronunziava chiaramente il mio nome. Ciò avveniva in giornate molto serene e illuminate dal sole; non una foglia si muoveva sopra gli alberi del giardino; era una quiete di tomba; perfino il grillo in quel momento aveva smesso di gridare; non c’era un’anima nel giardino. Ma, confesso, se la notte piú furiosa e burrascosa con tutto l’inferno degli elementi mi avesse colto, solo, in mezzo a una selva impervia, non avrei avuto tanta paura quanto in quella spaventosa quiete di un giorno senza nubi. Allora per il solito fuggivo con immensa paura e con respiro affaticato, fuor del giardino, e non mi calmavo finché non incontravo una persona qualsiasi, la cui vista scacciava quella tremenda solitudine dal mio cuore.

Egli si lasciò dominare interamente dall’intima convinzione che Pulcheria Ivanovna lo aveva chiamato. Si sottomise con la volontà di un fanciullo obbediente, dimagrò, tossí, si consumò come una candela, e infine si spense come la candela quando non le è rimasto piú niente che tenga su la sua misera fiamma.

— Mettetemi accanto a Pulcheria Ivanovna.


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