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Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/59

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TARAS BUL'BA

cio; ma la maggioranza oziava e crapulava dalla mattina alla sera, purché ci fossero in tasca quattrini sonanti che ne dessero la possibilità, e purché i guadagni fatti non fossero già passati nelle mani dei mercanti e dei bettolieri. Quella baldoria generale aveva in sé qualcosa di affascinante. Non era un convegno di ubbriaconi che bevessero per liberarsi dalla malinconia; ma era semplicemente un’indiavolata manifestazione di allegria. Chiunque giungeva lí, dimenticava e gettava via tutto ciò di cui s’era occupato fin allora; per cosí dire, sputava sopra al suo passato, e spensieratamente seguiva il suo capriccio e si dava alla compagnia di altri vagabondi suoi pari, per cui non esistevano genitori, patria, famiglia, niente all’infuori del libero cielo e del perenne banchetto del loro cuore. Ciò produceva quell’allegria indiavolata, che non avrebbe potuto scaturire da un’altra fonte qualsiasi. I racconti e cicalecci in mezzo ai crocchi degli oziosi che si riposavano sdraiati pigramente a tetta, spesso erano tanto buffi e animati di cosí forte vivacità narrativa, che bisognava avere tutta quell’apparenza di sangue freddo, caratteristica del Saporogino, per serbare immobile l’atteggiamento del volto, senza nemmeno un guizzo dei baffi. È questo un tratto deciso per cui si distingue anche oggi dagli al-


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