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Pagina:Gogol - Taras Bul'ba, traduzione di Nicola Festa, Mondadori, Milano, 1932.djvu/87

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TARAS BUL'BA

con tutte le calze e le scarpe, tirare calci all’aria.

Il miserabile oratore, che da sé aveva attirato la sciagura sul proprio capo, sgusciò fuori dal caffettano per cui l’avevano afferrato, rimase vestito di una sola maglietta screziata e attillata, e abbracciò Bul’ba alle ginocchia, e con voce lamentevole lo pregò:

— Mio grande padrone, illustre eccellentissimo signore! io conoscevo anche il vostro fratello, il compianto Doros! Era l’ornamento di tutta la cavalleria! Glieli diedi io gli ottocento zecchini, quando dovette riscattarsi dalla prigionia dei Turchi...

— Tu conoscevi mio fratello? — domandò Bul’ba.

— Com’è vero Dio, lo conoscevo. Egli era un signore di grande animo.

— E come ti chiami?

— Jankelj.

— Va bene — disse Taras; ci pensò su un momento, e poi si rivolse ai cosacchi dicendo loro: — A impiccare un giudeo ci sarà sempre tempo, quando sarà necessario, ma per oggi regalate a me costui.

Dopo aver detto queste parole, Bul’ba lo accompagnò al suo carriaggio, presso al quale si trovavano i suoi cosacchi.


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