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capitolo il 133


percorsi con l’aiuto del lume di alcune torcie, e conobbi in tale occasione quanto era grande la mia poltroneria. I due condottieri che mi precedevano, si consigliavano a vicenda sopra i luoghi da scegliere per passeggiare il sotterraneo: No; non andiamo, diceva l’uno, perchè non è gran tempo che è rovinata la volta: andiamo dunque di qui, diceva l’altro; ma se cadesse l’altra parte della volta? dicevo allora io mezzo tremante alle due mie guide... Eh! eh! questo non succede ogni giorno, mi risposero: insomma n’escii, grazie a Dio, e feci anche fermo proposito di non più tornarvi. Che cosa in sostanza vid’io? Nulla: dunque ero stato il trastullo della mia curiosità. In una parola altro non feci, se non se ciò che avevano fatto molti altri prima di me. Quello che osservai con maggior piacere e senza pericolo, furono i testacei ammucchiati su quell’alte montagne una mezza lega almeno elevate dal Mediterraneo alla loro cima; questa fu la prima volta, che avevo avanti gli occhi questa prova incontrastabile delle grandi rivoluzioni della natura, l’origine delle quali è ancora incerta, ed il cui meccanismo non è stato ancora scoperto. Portai meco dei mucchi di tali conchiglie ammassate unitamente ad alcuni pezzi benissimo lavorati di alabastro di Volterra, trasparente e molto tenero. Aggiunsi a queste mie nuove ricchezze parecchi piccoli tubi, lavoro di certi insetti, i quali formano in essi il loro ricovero in tempo d’inverno, e che non si trovano se non nel paese di Peccioli da me attraversato. Sul far della notte mi trovai alle porte di Pisa, e andai a prendere alloggio all’albergo della Posta.

CAPITOLO XLIX.

Alcune parole sopra la città di Pisa. — Mia avventura nella colonia degli Arcadi. — Mio nuovo impiego. — Miei felici successi. — Mie distrazioni.

Pisa è un paese molto importante. L’Arno, che attraversa la città, è più navigabile di quello di Firenze, ed il canale di comunicazione fra questo fiume e il porto di Livorno procura allo Stato considerabili vantaggi. Vi è a Pisa un’università molto antica e frequentata quanto quelle di Pavia, Padova e Bologna.

L’ordine dei cavalieri di Santo Stefano fondato nel 1562 da Cosimo primo de’ Medici, tiene il suo capitolo generale in questa città ogni tre anni. I bagni di Pisa sono saluberrimi, l’aria della città e de’ contorni si reputa la migliore d’Italia, e vi si trova acqua pura, leggiera, e passante quanto quella di Nocera. Non dovevo trattenermivi che alcuni giorni, e vi passai tre anni consecutivi. Mi vi ero fissato senza volerlo, e vi avevo preso qualche impegno senza pensarvi: il mio genio comico era infievolito, ma non estinto. Offesa Talia della mia diserzione, mi spediva di tempo in tempo alcuni emissari, per richiamarmi ai suoi vessilli: cedetti finalmente alla dolce violenza di una seduzione per me tanto piacevole, e lasciai per la seconda volta il tempio di Temi per ritornare a quello d’Apollo. Farò dunque il possibile per restringere in poche parole il corso di un triennio che richiederebbe per sè stesso un volume.

I primi giorni dopo il mio arrivo in Pisa mi divertivo ad esaminare tutte le rarità che ne meritavano la pena: la cattedrale ricchissima di marmi e pitture; il singolar campanile, che som-