Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/136

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134 parte prima


mamente pende al di fuori, e che comparisce diritto nell’interno, e il campo santo, circondato da un magnifico loggiato, e pieno di terra a tal segno impregnata di sali alcalini e calcarei, che in ventiquattro ore di tempo riduce i cadaveri in cenere. Cominciavo bensì ad annoiarmi, non conoscendo ancora nessuno. Un giorno passeggiando verso la fortezza, vidi un gran portone aperto, e carrozze ferme e molta gente che entrava. Do un’occhiata dentro, e vedo in fondo un vastissimo giardino con una quantità grande di persone tutte a sedere sotto una specie di pergola. Mi appresso di più, e trovo un uomo in livrea che se ne stava là con maniere ed aria d’uomo d’importanza: gli domando di chi era il palazzo, e qual fosse il motivo per cui si adunasse in quel luogo tanta gente. Quel servitore garbatissimo e molto istruito, non ricusò di appagare la mia curiosità. — L’adunanza, che costì vedete, o signore, ei mi disse, è una Colonia degli Arcadi di Roma, chiamata Colonia Alfea o di Alfeo, fiume celebre in Grecia, da cui era bagnata l’antica Pisa in Aulide. — Gli domando se potevo godere di tal festa io pure: Volentierissimo, mi risponde, e mi accompagna subito egli stesso fino all’ingresso del giardino: ivi mi presenta a un servitore dell’accademia, e questi mi fa prender posto nel circolo. Me ne sto là ascoltando, sento del buono, sento del cattivo, ed applaudo del pari l’uno e l’altro. Tutti avean gli occhi sopra di me, e parevano desiderosi di sapere chi fossi. Mi venne l’estro di contentarli. L’uomo, che mi aveva condotto al posto, non era molto lontano dalla mia sedia; lo chiamo, e lo prego d’andare a dimandare al capo dell’adunanza, se fosse stato permesso ad un forestiero d’esprimere in versi il piacere che provava in quell’istante. Dal capo dell’accademia si annunzia la mia richiesta ad alta voce, e l’assemblea tutta vi condiscende. Avevo in mente un sonetto da me composto appunto in una simile occasione nella mia gioventù; mutai in fretta alcune parole che riguardavano il locale, e recitai i miei quattordici versi con quel tono e con quella inflessione di voce, che ravvivano la rima ed il sentimento. Il sonetto passò per fatto su due piedi, e riscosse sommi applausi: non so se il consesso dovesse durar di più; so bene che ognuno si alzò, e che mi vennero tutti attorno. Ecco intavolate molte relazioni: ecco molte compagnie da scegliere: quella del signor Fabri fu per me la più piacevole e vantaggiosa. Era cancelliere della giurisdizione dell’ordine di Santo Stefano, e presiedeva all’assemblea degli Arcadi sotto il titolo pastorale di Guardiano. Trattai in seguito tutti i pastori dell’Arcadia da me veduti in adunanza. Desinai in casa degli uni, cenai in casa degli altri; ed essendo i Pisani officiosissimi verso i forestieri, concepirono amicizia e considerazione per me. Mi ero lor manifestato per avvocato veneziano, ed avevo raccontato una parte de’ miei avvenimenti; vedendo essi pertanto che io era un uomo senza impiego, ma suscettibile di averne, mi proposero di riprendere la lasciata toga, e mi promisero clienti e libri nel tempo istesso. Qualunque forestiere, purchè addottorato, poteva nella curia di Pisa esercitare le sue funzioni liberamente: intrapresi adunque col molto ardore l’esercizio della professione di avvocato civile e criminale. In tutto mi mantennero i Pisani la lor parola, ed io poi ebbi anche la fortuna di contentarli. Lavoravo giorno e notte; avevo più cause di quello che ne potessi sostenere ed avevo oltre a ciò trovato il segreto di diminuirne il fascio con soddisfazione dei clienti, provando loro il male che facevano a litigare, e procurando di aggiustarli con la respettiva parte contra-