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CAPITOLO IV.

La buona moglie, seguito della Putta onorata, commedia veneziana di tre atti, ed in prosa. — Suo felice successo. — Aneddoto di un giovine convertito. — Pensieri sopra i soggetti popolari. — Il Cavaliere e la Dama, o i Cicisbei, commedia in tre atti in prosa. — Suo buon successo. — Critica di un incidente della medesima commedia.

La Putta onorata, con la quale si era chiuso il teatro nell’anno comico 1748, fece con la sua ripetizione l’apertura dell’anno seguente, sostenendosi sempre con l’istessa buona sorte, nè cessò che per dar luogo alla prima rappresentazione della Buona moglie. Questa commedia era il seguito della precedente; infatti i personaggi venuti in scena nella prima, comparivano pure in questa, e mantenevano il consueto loro stato e i respettivi loro caratteri; altro non eravi che Pasqualino, il quale strascinato al vizio dalle cattive pratiche, aveva mutato affatto costumi e condotta. Apre la scena Bettina, accanto alla culla del suo bambino, lo bagna delle sue lacrime, e si lamenta del suo caro marito. Egli giuoca, si rovina, dorme fuori di casa; ed essa, benchè in disperazione, non tralascia di amarlo.

Pantalone aveva dato alcuni capitali a suo figlio per intraprendere un piccolo traffico. Pasqualino dissipa quasi tutto; Lelio ed Arlecchino lo seducevano, vivendo a spese di lui, e facendo pagare al medesimo tutte le ricreazioni, delle quali essi eran sempre i promotori. Costoro lo conducono un giorno all’osteria con donne sospette, e con compagni dissoluti e libertini. Giuntane a Pantalone la notizia, si porta subito a sorprenderli; Pasqualino si nasconde alla vista del padre, e i commensali partono; Arlecchino però, uomo di cattivo carattere, lo discopre, e seguita i compagni. Pantalone nel primo impeto avrebbe l’intenzione di dare sfogo alla sua collera, ma tornato in sè stesso, va fra sè dicendo: «Ah no; è necessario provar piuttosto la dolcezza; una tenera correzione vale forse più dei rimproveri e del castigo; vedrò mio figlio, gli parlerò da padre, nè cesserò mai di essere tale quando in lui riconosca ragione e cuor di figlio». Dopo ciò fa escire il giovane, che senza parole e tremante prende il mantello e vuol partire. «Fermatevi, gli dice il padre con aria di bontà e tenerezza, fermatevi, figlio mio, io non voglio nè sgridarvi, nè minacciarvi, e molto meno punirvi: conosco troppo bene che, sedotto dai cattivi consigli, avete scosso il giogo dell’obbedienza filiale, e che forse più non sono in grado di potere esercitare sopra di voi i miei diritti; vi prego dunque... Sì, mio caro figlio, io vi amo sempre, e solo vi prego di volermi prestare orecchio». Pasqualino commosso alle dolci maniere di suo padre, lascia cader qualche lagrima. Pantalone allora prende una sedia e fa sedere il figlio accanto a sè, gli dipinge al vivo il carattere delle sue conoscenze, gli fa il quadro dello stato in cui lo aveva ritrovato, e gli pone sottocchio il torto che faceva al suo nome, alla sua reputazione, a suo padre, alla tenera moglie, al caro figlio: Pasqualino si getta ai piedi del genitore ed è pentito: ecco dunque il padre al colmo della sua gioia.

Mi si fece credere che questa scena abbia prodotto in Venezia una conversione, facendomi ancora conoscere il giovane ch’era stato nel