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166 parte seconda


tolo che comprende vari soggetti in una volta, molto più che le ridicolezze delle due donne e quella del capo di famìglia, si davan la mano e contribuivano del pari alla moralità e all’andamento comico dell’opera. Il nome di Antiquario si dà in Italia tanto a chi dottamente si occupa allo studio delle antichità, quanto a chi raccoglie senza intelligenza copie per originali ed inutilità per monumenti preziosi; il mio soggetto è ricavato appunto da questi ultimi. Il conte Anselmo, molto più ricco di danaro che di cognizioni, diviene amante di quadri, di medaglie, di pietre incise, e di tutto ciò che apparisce raro ed antico. Si fida di birbanti, che lo ingannano. e mette insieme con una spesa grandissima una ridicola galleria. Ha poi una moglie, la quale, benchè in procinto di esser nonna, ha tutte le pretensioni della gioventù; onde la nuora, che non può soffrire la subordinazione, freme di non esser la padrona assoluta. Il conte Giacinto, figlio dell’una e marito dell’altra, non osando dare il menomo dispiacere a sua madre, e dall’altro canto volendo contentare sua moglie, trovasi imbrogliatissimo e fa le sue lagnanze al capo di casa. Questi è seriamente occupato sopra un Pescennio, medaglia rarissima, da lui appunto comprata allora allora a caro prezzo, e ch’era falsificata, onde rimanda il figlio bruscamente, nè si prende briga dei pettegolezzi della famiglia. Frattanto vanno sì oltre le cose, che l’Antiquario non può più esimersi dall’occuparsene; ma non volendo stare a tu per tu con donne così poco ragionevoli, chiede un congresso di famiglia. È fissato il giorno, e vi concorrono anche parecchi amici comuni: uno dei primi è il figlio, e l’ultime a comparire sono le signore accompagnate dal respettivo loro cicisbeo. Tutti prendono posto. Il conte Anseimo è nel mezzo del circolo, e comincia il discorso sulla necessità della pace domestica; ma nel voltarsi a diritta e a sinistra, pone gli occhi sopra un cammeo appeso alla catena dell’orologio della sua nuora. Crede subito di scorgervi una preziosa antichità, onde vuol vederlo più dappresso; lo scioglie, tira fuori la sua lente, esamina il gioiello, vi vede una bellissima testa, e bramerebbe farne acquisto. Gli vien subito ceduto il cammeo; egli va in estasi dal contento, e fa i suoi ringraziamenti alla nuora: sua moglie, di ciò offesa, si alza e parte. Ecco finita l’assemblea; è rimessa dunque la grande questione a un’altra seduta.

Succedono in questo intervallo molte cose disgustose per l’Antiquario; egli mostra la sua galleria ad alcuni intendenti dai quali viene fatto chiaro del suo errore e disingannato; egli ne è pienamente convinto e renunzia alla sua follia. Quindi conoscendo la necessità di ristabilire la pace nella sua casa, intima una seconda assemblea, e tutti al solito vi concorrono. Vengono proposti molti modi; dispiacciono gli uni alla suocera, e gli altri son rigettati dalla nuora; ma se ne trova finalmente uno, soddisfacente ad entrambe, e consiste nello stabilire due famiglie, e così separare le due donne per sempre. Rimangono tutti contenti, e in questa maniera termina la commedia.

Alcuni anni dopo vidi recitare a Parma questa commedia, tradotta in francese dal signor Collet, segretario di gabinetto di S. A. R. l’infanta. Questo autore, stimabilissimo per tutti i riguardi, e conosciutissimo a Parigi per varie belle opere da lui esposte sul teatro francese, ha tradotto con la maggior perfezione la mia composizione, e senza dubbio è quegli appunto che l’ha fatta valere qualche cosa. Ne variò bensì lo scioglimento, perchè fu d’opinione che questa commedia finisse male, lasciando partire la ma-