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capitolo ix 167


trigna e la figliastra fieramente scorrucciate, onde ne fece veder sulla scena la riconciliazione. Se questa pace fosse potuta essere stabile, avrebbe fatto molto bene; ma chi può assicurare che queste due capricciose donne non rinnovassero un momento dopo le loro controversie? Forse sarò in errore, ma pure son d’opinione che il mio scioglimento sia propriamente in natura.

CAPITOLO IX.

Pamela, commedia di tre atti in prosa e senza maschera. — Analisi della medesima. — Il Cavalier di buon gusto, commedia di tre atti in prosa. — Suo mediocre successo.— Epilogo di questa commedia. — Il Giuocatore, in tre atti. — Sua caduta. — Proibizione dei giuochi d’azzardo e soppressione del ridotto a Venezia.

Fino da qualche tempo il romanzo della Pamela era la delizia degli Italiani, e tutti gli amici mi tormentavano perchè io ne facessi una commedia. Conoscevo quest’opera, e non mi dava fastidio il trarne partito, affine di colpire le menti e ravvicinarne gli oggetti. Lo scopo morale però dell’autore inglese non conveniva ai costumi e alle leggi della mia nazione. A Londra un lord non deroga punto alla nobiltà sposando una contadina, laddove a Venezia un patrizio che sposi una plebea, priva i figli del patriziato e perde ogni diritto alla sovranità. La commedia, che è, o dovrebbe almeno essere la scuola dei costumi, non deve esporre le debolezze umane se non per correggerle, onde non conviene arrischiare il sacrifizio d’una posterità disgraziata sotto pretesto di ricompensare in tal guisa la virtù. Avevo dunque rinunziato affatto all’illusione di questo romanzo; ma poi nella necessità in cui ero di moltiplicare soggetti, e sollecitato in Mantova e a Venezia da persone che continuamente m’incitavano a lavorarvi, vi condiscesi di buon grado. Non mi accinsi però all’opera se non dopo aver immaginato uno scioglimento, che, lungi dall’essere pericoloso, potesse anzi servire di modello ai virtuosi amanti, e render la catastrofe soddisfacente e piacevole nel tempo stesso. Apre la scena Pamela con Jevre, vecchia governante di casa: essa piange la sua padrona morta da qualche mese, e così pone al fatto il pubblico della sua condizione. Essa è una campagnuola, che miledi aveva presa in qualità di cameriera, ma che amava qual figlia, e alla quale aveva procurato una educazione al di sopra della sua condizione. Cade il discorso sopra il figlio della defunta, e Jevre fa sperare a Pamela che milord Bonfil mai dimenticato non avrebbe a di lei riguardo le raccomandazioni della madre. Mediante alcune interrotte espressioni accompagnate da qualche sospiro, Pamela lascia trasparire la sua inclinazione per il giovine padrone. Vuol abbandonare Londra, vuol ritornare nel seno della sua famiglia, ed ecco il contrasto dell’amore e della virtù. Nel corso della commedia vedesi il giovane lord ardere del fuoco medesimo di Pamela. Essa è saggia. Milord fa i tentativi possibili per sottoporla ai suoi voleri, ma Pamela è immutabile, ed egli divien furioso. Miledi Dauvre, sorella di milord Bonfil, si accorge della passione del fratello e gli chiede Pamela. Esita Bonfil da principio; acconsente, e poi revoca il consenso: chiude Pamela; ed eccolo nella più grande agitazione. L’amico suo lord Artur va un