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Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/214

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212 parte seconda


La maschera deve sempre pregiudicare all’azione dell’attore, tanto nel manifestare l’allegrezza come il dolore. Perchè sia pure il personaggio amabile, severo, piacevole, ha sempre al viso l’istessa pelle, ed è sempre l’istessa pelle che sta esposta all’occhio dello spettatore. Egli ha un bel variar di tono, non sarà mai capace di far conoscere con i moti de’ suoi lineamenti che sono gl’interpreti del sentimento del cuore, le differenti passioni che agitano l’anima di lui. Fra i Greci ed i Romani le maschere erano una specie di strumento per portar lungi la voce, immaginato per far così sentir meglio i personaggi nella vasta estensione degli anfiteatri. Le passioni e i sentimenti non erano in quel tempo condotti a quel punto di delicatezza che attualmente si richiede; si vuole oggi che l’attore abbia dell’anima, ma l’anima sotto le maschere è come il fuoco sotto la cenere. Ecco la ragione per la quale avevo concepito l’idea di riformare le maschere della commedia italiana, sostituendo le buone commedie all’insulse farse. Ma di giorno in giorno andavano aumentandosi i lamenti, e i due partiti divenivano per me sempre più disgustosi: procurai per ciò di contentare gli uni e gli altri, e mi sottoposi a dar fuori alcune commedie a braccia, senza però desistere di porre in scena le mie commedie di carattere. Feci agire le maschere nelle prime, e mi valsi dell’arte comica nobile e dilettevole nelle seconde; in questa maniera ognuno aveva la sua parte di piacere, onde col tempo e con la pazienza giunsi a vederli tutti d’accordo, ed ebbi inoltre la soddisfazione di trovarmi autorizzato a secondare il mio gusto, che in capo ad alcuni anni divenne il gusto più generale e più adottato in Italia.

CAPITOLO XXV.

Altri lamenti dei Bolognesi contro la mia riforma. — Terenzio, commedia di cinque atti, e in versi. — Suo estratto. — Suo magnifico successo.

Avevo già perdonate ai partigiani delle commedie con le maschere le lagnanze che mi avevano fatte, per essere eglino dilettanti abilissimi, che avevano il merito di rendere da lor medesimi piacevoli le commedie a braccia. Quello però che più d’ogni altro mi pungeva, erano le grida di vendetta dirette contro di me da personaggi di qualità, per la ragione che aveva messo in ridicolo i cicisbei senza il menomo riguardo alla nobiltà.

Veramente non mi sentivo di fare su questo proposito le mie scuse, e molto meno di correggermi, ma facevo troppo conto dei suffragi dei Bolognesi per non cercare di convertire i mal contenti, e rendermi meritevole della loro stima. Immaginai una commedia, il cui argomento era appunto degno di un paese ove generalmente fiorivano le arti, le scienze e la letteratura più che in qualunque altro luogo. Presi per soggetto della commedia Terenzio l’affricano, nel modo stesso che pochi anni avanti avevo fatto del Terenzio francese. È questa una delle mie commedie favorite; mi costò molta pena, mi procurò molta contentezza, e meritò l’elogio universale dei Bolognesi; potrei io dunque negarle la preferenza? Rendo ora conto di questa figlia a me cara; e per farla meglio conoscere, comincio dal trascrivere la seguente lista di personaggi:

Il Prologo, Lucano senatore, Livia figlia adottiva di Lucano, Lelio patrizio, Publio pretore di Roma, Terenzio affricano schiavo di