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Ottavio. Viva mill’anni il signor Pantalone.

Pantalone. Viva do mile el mio caro sior maestro.

Ottavio. Ella potrebbe esser precettore d’un mezzo mondo.

Pantalone. Me basta che ela sia bon per i mi do fioi.

Ottavio. Impiegherò tutta la mia attenzione.

Pantalone. La farà el so debito.

Ottavio. V. S. non averà a dolersi di me.

Pantalone. Nè ela de mi.

Ottavio. M’affaticherò, suderò.

Pantalone. E mi premiarò le so fadighe, ricompenserò i so sudori.

Ottavio. Bravo, bravissimo. Sono sempre bene spese quelle monete che contribuiscono al profitto de’ figli. Io non dico già che la mia attenzione si aumenterà a misura della ricompensa, ma vi reciterò alcuni versi di un poema moderno, che fanno a proposito del nostro ragionamento.

          Il verbo fare ha un pessimo futuro.
          Che spesse volte si converte in niente.
          Onde chi brama il tempo aver sicuro
          Sempre del verbo far prenda il presente,
          Così s’insegna in le moderne scuole.
          A buon intenditor poche parole. (parte)

SCENA V.

Pantalone solo.

Non son sordo, ho capio. Son omo che paga; son omo che spende, ma che sa spender. No butto via i mi bezzi senza proposito. Sto sior el vorave che onzesse la rioda, acciò che no la ruzasse, ma se lu l’è maestro de scuola, mi son maestro d’economia. Dixe el proverbio, chi paga avanti tratto, gh’ha el servizio mal fatto. Chi dà senza rason, omo se pol chiamar tre volte bon. Per poco ancora tegnirò i mi fioi con la suggizion del maestro. Lelio, come mazor, lo vôi maridar. Florindo, come più zovene, farò ch’el fazza un ziro per le piazze d’Europa; e se el riuscirà ben, ghe pianterò un negozio in so specialità. Se posso, no vogio