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L'UOMO DI MONDO | 177 |
Ottavio. Chi saranno quelli che avranno tanto potere? Il vostro Momolo forse? Non lo stimo1 né lui, nè voi, nè dieci della vostra sorte.
Lucindo. Questo è un parlare da quell’insolente che siete.
Ottavio. A me, temerario? (cacciando la spada)
Lucindo. Così si tratta? (si pone in difesa colla spada. Si tirano dei colpi)
Momolo. (Esce dalla locanda) Alto, alto, fermeve; tolè su el fodro, che i cani no ghe pissa drento.
Ottavio. Per causa vostra, signore. (a Momolo con isdegno)
Lucindo. Egli ha perduto il rispetto a voi2 ed a tutta la nostra casa. (a Momolo)
Momolo. Animo, digo, in semolaa quelle cantinele.
Ottavio. Non crediate già di mettermi in soggezione.
Momolo. Voleu fenirla, o voleu che ve daga una sleppab? (ad Ottavio)
Ottavio. A me? Se no fosse viltà ferire un uomo disarmato, v’insegnerei a parlare. Provvedetevi di una spada, (a Momolo)
Momolo. Eh, sangue de Diana. Lasse veder, (leva la spada a Lucindo)) A vu, sior bravazzo. (si tirano con Ottavio, e Momolo lo disarma)
Ottavio. Ah, maledetta fortuna!
Momolo. Tolè, sior, la vostra spada; andè da vostra sorella, e diseghe da parte mia, che se sto sior averà più ardir de vegnirla a insolentar, ghe lo inchioderò su la porta, (a Lucindo) E vu tolè el vostro speoc; e andè imparar avanti de metterve coi cortesani della mia sorte. (ad Ottavio, dandogli la sua spada)
Ottavio. (Se non mi vendico, non son chi sono), (da sè, e parte)
Lucindo. Se non venivate voi, forse forse l’avrei ucciso.
Momolo. Eh, compare, se no vegniva mi, el ve inspeava come un quaggiotto.
Lucindo. Voi mi credete di poco spirito, e non lo sono.
Momolo. Lassemo andar ste malinconie. Diseme: cossa fa siora Leonora? Stala ben?