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IL PRODIGO | 253 |
cipia spendere, vanno come l’acqua di vita. (So che ne deve avere altri venti). (da sè)
Momolo. Quando che v’ho dito fe vu, fe vu.
Trappola. Mi darebbe l’animo di compartirli bene, e di fare che durassero molto, ma abbiamo tanti debiti con questi bottegai della Brenta, che non so da qual parte salvarmi.
Momolo. No ghe badè a costori; fe el fatto vostro e tirè de longo.
Trappola. Bisogna cascarci per necessità, e se non do loro qualche cosa a conto, non potremo tirare innanzi.
Momolo. Ben, fè vu.
Trappola. Pel trattamento, come vuole restar servita?
Momolo. Ma se ho dito che me rimetto in vu.
Trappola. Quanta gente verrà all’incirca?
Momolo. No so gnente. Per mi me basteria una persona sola, che me sta sul cuor; ma chi sa con quanti che la vegnirà?1
Trappola. Se è lecito, che persona è, signore?
Momolo. Una vedua fresca co fa una riosa. Vederè, vederè che mobile. Un’aria, un brio, una grazia; a Venezia no gh’è de meggio2. No gh’ho mai podesto parlar a mio modo; e per questo l’ho pregada de vegnir fora in tel mio casin. Ah? cossa diseu? hoggio fatto ben?
Trappola. Bravo. Il punto sta ch’ella non venga in compagnia di persone, che gli diano ancora più soggezione.
Momolo. No crederave. Son3 in casa mia. Basta, fe pulito, e sora tutto che la roba sia netta, delicata e che no la spuzza, perchè la gh’ha un naso, che sente i odori tre mia lontan. Un zomo semo andai in compagnia a disnar alla locanda, e ghe xe vegnù mal su la porta, perchè l’ha4 sentio l’odor della carne de manzo.
Trappola. Non ci vuol manzo dunque.5
Momolo. Oibò, la xe delicatissima. Dei capponi no la magna altro che la cimetta dell’ala, dei polastrelli la cresta e dei colombini le cervelette.