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IL PRODIGO 293


Leandro. Intendo, voi vi lagnate, perchè non vi abbia prima di adesso scoperto il mio fuoco.

Clarice. Anzi mi lagno, perchè ora me lo avete scoperto.

Leandro. Non vi capisco, signora.

Clarice. Nè mai mi capirete più di così.

Leandro. Parmi peraltro d’indovinare quel che chiudete nel cuore.

Clarice. Potrebbe darsi: non ho l’arte che avete voi per nascondere i miei pensieri.

Leandro. Voi vi prendete spasso di me.

Clarice. Sbagliate; con voi non ho cuore di divertirmi.

Leandro. Potrebbe darsi che voi mi amaste, e che mi voleste tener sulla corda.

Clarice. Sempre più lontano dal vero.

Leandro. Dunque mi odiate.

Clarice. Nemmeno.

Leandro. Avete per me dell’indifferenza?

Clarice. Ora principiate ad indovinare.

Leandro. Per causa del signor Momolo.

Clarice. Non è vero.

Leandro. Per mio destino adunque.

Clarice. Potrebbe darsi.

Leandro. Eh, che il destino in simili circostanze si forma dalle nostre inclinazioni soltanto. Se voi avete della indifferenza per me, sarà o perchè l’animo vostro è preoccupato da altri, o perchè in me non ritrovate un merito, che vi appaghi. Il destino sovente è il mezzo termine de’ malcontenti, la scusa degl’ingrati.

Clarice. Sia qual esser si voglia, non verrò a disputare con voi sulla realità del destino. Se non vi amo, è chiaro segno che non mi sento inclinata ad amarvi; se questa mia inclinazione contraria non è destino, sarà qualche cosa di equivalente.

Leandro. Sarà un’ingratitudine manifesta.

Clarice. Sarà tutto quello che voi volete.

Leandro. Per me dunque non vi è speranza.

Clarice. Vi potrebbe essere, ma senza frutto.