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LA BANCAROTTA 355


Truffaldino. E mi cossa oio da far, povero pupillo?

Leandro. Mi trovo senza un danaro.

Truffaldino. Semo1 fradei carnali.

Leandro. Andar a servire non mi conviene.

Truffaldino. Gnanca a mi sfadigar no me piase.

Leandro. Anderò per il mondo pellegrinando.

Truffaldino. Batter la birba l’è el più bel mistier che se possa far.

Leandro. Farmi, se non m’inganno... (osservando la casa del Dottore) Sì, è dessa. La signora Vittoria affacciasi alla finestra. Ritirati, Truffaldino, e lasciami un poco esperimentare, a fronte delle mie miserie, l’affetto di questa giovane.

Truffaldino. Cossa spereu da ela?

Leandro. Spero molto.

Truffaldino. E mi gnente2 affatto. (parte)

SCENA VIII.

Leandro e Vittoria alla finestra.

Vittoria. Come state, signor Leandro?

Leandro. Male assai, signora, e stupisco che voi ancora mi conosciate, contraffatto dalle mie afflizioni.

Vittoria. Voi non avete colpa nelle vostre disgrazie; siete degno di compassione, ed io la risento più al vivo di ciascun altro.

Leandro. Oh cieli! sono più fortunato di quello ch’io mi credeva. È possibile ch’io possa lusingarmi del vostro affetto ad onta delle mie miserie?

Vittoria. Vi amerei ancorchè foste il più infelice uomo di questo mondo.

Leandro. Ma non sarà mai possibile che mi diveniate consorte.

Vittoria. Perchè?

Leandro. Perchè vostro padre non vorrà maritarvi con un miserabile.

Vittoria. Non temete; mio padre s’interessa moltissimo per le cose della vostra famiglia; mi dà speranza di qualche accomoda-

  1. Savioli, Zatta: saremo.
  2. Savioli, Zatta: niente.