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LA BANCAROTTA 379


Leandro. A me lo mettono cinquanta lire; faccio il conto di venderlo tre zecchini.

Aurelia. È bellissimo veramente.

Leandro. Vi piace dunque.

Aurelia. Sì, mi piace tanto, che ne voglio un taglio per me.

Leandro. Oh, signora, perdonate, ora non è il tempo che vi facciate un abito di questa spesa.

Aurelia. Lo voglio assolutamente.

Leandro. Bel guadagno che farà il negozio.

Aurelia. Segnatelo a mio conto. Mi ha promesso il signor Dottore, che avrò una mesata di tre zecchini.

Leandro. Da chi avrete questa mesata?

Aurelia. Da vostro padre, da voi, dal negozio.

Leandro. Tre zecchini il mese? mi contenterei poterne ricavar tanti da mantener la famiglia, senza aggravarci di maggiori debiti.

Aurelia. Basta, per ora voglio quest’abito e poi la discorreremo.

Leandro. Non signora; non l’avrete.

Aurelia. Non l’avrete? A me si dice non l’avrete? Colla mia dote si è assicurata la roba della bottega.

Leandro. Colla vostra dote e coll’eredità di mia madre.

Aurelia. E per conto mio voglio ora quest’abito.

Leandro. Ed io a proporzione posso dire di volerne quattro.

Aurelia. Prendetene anche sei, non m’importa. Intanto porto via questa pezza e fate conto di non averla. (parte e si porta seco il broccato)

SCENA VIII.

Leandro, poi Truffaldino.

Leandro. Tutti tendono a consumare, ed io sarò il sacrificato? Se si vogliono rovinare, che si rovinino. Truffaldino.

Truffaldino. Signor.

Leandro. Prendi queste tre pezze di broccato e portale dalla signora Vittoria.