Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu/442

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388 ATTO SECONDO


vidè vu chi volè, che mi no invido nessun. Arecordeve sora tutto che sior conte nol veggio.

Clarice. Il signor conte non lo pratico più.

Pantalone. Brava, a revederse stassera. Voggieme ben, tendè al sodo, no v’indubitè gnente. Fin che gh’averò bezzi, i sarà tutti a vostra disposizion. (parte)

Clarice. Va subito dal signor conte Silvio, digli che venga qui che mi preme (al servitore) (Non voglio perdere ne l’uno, nè l’altro). (parte)

Servitore. La mia padrona ha giudizio. È una cacciatrice che tende le reti ai fagiani, alle starne, ai passeri ed ai merlotti. (parte)

SCENA XIII.

Camera in casa di Pantalone.

Aurelia e Marcone.

Aurelia. Sì, certo, questa sera portatemi tutti i miei vestiti, che il danaro ci sarà per riscuoterli.

Marcone. Quand’ella abbia il danaro, sto qui vicino, mi mandi a chiamare, che vengo subito.

Aurelia. Ma che vi pare de’ miei vestiti? Mi sembrano antichi, non è egli vero?

Marcone. Certo che sono antichi, per una giovane come lei. Anzi la consiglierei a venderli e farsene de’ più moderni.

Aurelia. Ecco qui del broccato per farne uno di gusto.

Marcone. Il drappo è bello. All’ultima moda. Ma la pezza è grossa; ve ne sarà per più di un vestito.

Aurelia. L’ho misurato. Sono cinquanta braccia.

Marcone. Si cavano due vestiti interi senza risparmio. Ne potrebbe vendere uno.

Aurelia. Anzi lo voglio vendere, perchè ho bisogno di cento cose e non voglio dipendere da mio marito.

Marcone. Quanto ne vuole al braccio?

Aurelia. Alla bottega lo vendono tre zecchini.