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494 ATTO TERZO


Momolo. Rosaura merita tutto1, e se a vu la ve incendea, a tanti altri la ghe parerà un zuccaro2.

Rosaura. (Ecco il frutto d’avermi uniformato al carattere di tutti). (da sè)

Dottore. Ho piacere, che tu abbia sentita la comun opinione, acciò ti serva di maggior confusione: ora ti dico con più risolutezza, o sposala, o va via immediatamente di mia casa3.

Florindo. (Oh me infelice! Che mai farò? Sposarla è il meno. Ma Isabella?) (da sè)

Isabella. (Che risolve l’indegno?) (da sè)

Florindo. Signor Flaminio, che dite? (ad Isabella)

Isabella. Appunto attendeva, che per ultimo a me vi rivolgeste. Che volete ch’io dica? Altro dirvi non posso, se non che siete un mancatore, un infedele, un indegno.

Dottore. Che storia è questa?4

Ottavio. Ha promesso a qualche vostra sorella?

Isabella. A me ha giurata la fede, io non son Flaminio; Isabella son io degli Ardenti.

Diana. (È una donna? Ah fratello indiscreto!) (da sè)

Isabella. Mi allettò, mi sedusse quell’infedele. M’involò dalla casa paterna; promise esser mio sposo, ed ora lo scopro ad un’altra preventivamente impegnato.

Florindo. (Ora sto fresco!) (da sè)

Dottore. Che dici eh, disgraziato, briccone? E questo lo studio, che tu hai fatto a Pavia?

Florindo. Errai, lo confesso. Vi chieggo perdono; rimediate voi ai disordini dell’incauta mia gioventù.

Dottore. Ma che abbiamo da far di due donne? Tutte due non si possono sposar certamente.

  1. Se vi sembra amara.
  1. Ed. Bettin.: Mi digo che Rosaura merita ecc.
  2. Segue nell’ed. Bettin.: «Flor. Ah, vedo che tutti siete incantati; tutti siete contro me congiurati. Dunque dovrei soffrire una tal moglie? Chi troverassi che coglia servire una donna, che non merita comandare! Brigh. La me perdona, sior patron, mi son pronto a servir la siora Rosaura da staffier, da lachè e da sguataro, perchè la lo merita, perchè l’è una donna de garbo».
  3. Bettin.: da casa mia;
  4. Bettin.: Cos’è quest’istoria?