Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1907, I.djvu/614

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556 ATTO PRIMO


Silvio. O egli, o io abbiamo da rinunziare agli amori di Clarice, o alla vita.

Florindo. (Qui Federigo? Fuggo dalla giustizia e mi trovo a fronte il nemico!) (da sè)

Silvio. È molto che voi non m’abbiate veduto. Doveva alloggiare in codesta locanda.

Florindo. Non l’ho veduto; qui m’hanno detto che non vi era forestiere nessuno.

Silvio. Avrà cambiato pensiere. Signore, scusate se vi ho importunato. Se lo vedete, ditegli che per suo meglio abbandoni l’idea di cotali nozze. Silvio Lombardi è il mio nome; avrò l’onore di riverirvi.

Florindo. Gradirò sommamente la vostra amicizia. (Resto pieno di confusione). (da sè)

Silvio. Il vostro nome, in grazia, poss’io saperlo?

Florindo. (Non vo’ scoprirmi). (da sè) Orazio Ardenti per obbedirvi.

Silvio. Signor Orazio, sono a’ vostri comandi. (parte)

SCENA XII.

Florindo solo.


Come può darsi che una stoccata, che lo passò dal fianco alle reni, non l’abbia ucciso? Lo vidi pure io stesso disteso al suolo, involto nel proprio sangue. Intesi dire che spirato egli era sul colpo. Pure potrebbe darsi che morto non fosse. Il ferro toccato non lo avrà nelle parti vitali. La confusione fa travedere. L’esser io fuggito di Torino subito dopo il fatto, che a me per la inimicizia nostra venne imputato, non mi ha lasciato luogo a rilevare la verità. Dunque, giacchè non è morto, sarà meglio ch’io ritorni a Torino, ch’io vada a consolare la mia diletta Beatrice, che vive forse penando e piange per la mia lontananza.