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IL SERVITORE DI DUE PADRONI | 565 |
Beatrice. (Fate una cosa, signor Pantalone, lasciatemi un momento in libertà con lei, per vedere se mi riuscisse d’aver una buona parola). (come sopra)
Pantalone. Sior sì; vago e vegno. (Veggio provarle tutte). (da sè) Fia mia, aspetteme, che adesso torno. Tien un poco de compagnia al to novizzo. (Via, abbi giudizio). (piano a Clarice e parte)
SCENA X.
Beatrice e Clarice.
Beatrice. Deh, signora Clarice...
Clarice. Scostatevi e non ardite d’importunarmi.
Beatrice. Così severa con chi vi è destinato in consorte?
Clarice. Se sarò strascinata per forza alle vostre nozze, avrete da me la mano, ma non il cuore.
Beatrice. Voi siete sdegnata meco, eppure io spero placarvi.
Clarice. V’aborrirò in eterno.
Beatrice. Se mi conosceste, voi non direste così.
Clarice. Vi conosco abbastanza per lo sturbatore della mia pace.
Beatrice. Ma io ho il modo di consolarvi.
Clarice. V’ingannate; altri che Silvio consolare non mi potrebbe.
Beatrice. Certo che non posso darvi quella consolazione, che dar vi potrebbe il vostro Silvio, ma posso contribuire alla vostra felicità.
Clarice. Mi par assai, signore, che parlandovi io in una maniera la più aspra del mondo, vogliate ancor tormentarmi.
Beatrice. (Questa povera giovane mi fa pietà; non ho cuore di vederla penare). (da sè)
Clarice. (La passione mi fa diventare ardita, temeraria, incivile). (da sè)
Beatrice. Signora Clarice, vi ho da confidare un segreto.
Clarice. Non vi prometto la segretezza. Tralasciate di confidarmelo.
Beatrice. La vostra austerità mi toglie il modo di potervi render felice.
Clarice. Voi non mi potete rendere che sventurata.