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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/148

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142 ATTO SECONDO

Florindo. Ma che! Siamo in terra di Turchi? Mi maraviglio di voi. Sapete meglio di me, che non ne potete sposar che una sola.

Zanetto. Donca sposerò questa. Adesso vegno. (a Beatrice)

Florindo. Ma nè tampoco potete farlo.

Zanetto. Mo perchè.

Florindo. Perchè avete promesso alla figlia di quel Dottore, siete stato in sua casa; se mancate alla parola, vi faremno metter prigione e ve la faranno costar assai cara.

Zanetto. (Bona!) (da sè) No vegno altro. (a Beatrice)

Beatrice. Che dite?

Zanetto. No no, no ghe dago altro la man.

Beatrice. Ma io non v’intendo.

Zanetto. Intendo o non intendo. Chi s’ha visto, s’ha visto.

Beatrice. Come! Così mi schernite?

Zanetto. La compatissa. In preson no ghe so mai sta, no ghe voggio gnanca andar.

Beatrice. Perchè in prigione?

Zanetto. Doa no se ghe ne poi sposar. Quella xe fia d’un Dottor. Gh’ho promesso. Se va in preson; sioria vostrab. (parte)

SCENA XVII.

Beatrice e Florindo.

Beatrice. Oh me infelice! Il mio Tonino è impazzato. Parla in una guisa che più non lo riconosco.

Florindo. Signora Bearrice, io vi spiegherò ogni cosa. Sappiate ch’egli vive amante della signora Rosaura, figlia del signor dottore Balanzoni, e ad essa ha data la parola di matrimonio. Perciò, agitato fra l’amore e il rimorso, si confonde, vacilla e quasi quasi stolto diviene.

Beatrice. Oh stelle! E sarà vero quel che mi dite?

  1. Do, due.
  2. Sioria vostra, saluto burlevole.