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272 ATTO TERZO


libera assoluzione degli imputati. È ben vero però che il fisco potrebbe passare a diligenze maggiori, specialmente circa alla vita, ed costumi e al domestico loro contegno, ma in grazia della vostra difesa, della vostra tenerezza, della vostra bontà, usando quell’arbitrio che a me danno le leggi, liberamente li assolvo. Se sono innocenti, lo meritano per se stessi; se sono rei, lo merita il dolcissimo vostro cuore. Sicuro, che se anco fossero rei, sarà maggior colpo nell’animo loro la vostra pietà, di quello far potessero i rigori della giustizia. Signor Pantalone, ve lo ridico, consolatevi che sono assoluti.

Pantalone. Ohimè... No posso parlar... Sior giudice... Fioi, vegnì qua... Me schioppa el cuor...

Bargello. Eccellentissimo signor giudice, chi mi paga le mie catture?

Giudice. Quando il reo resta assoluto, è nulla la cattura e il processo.

Notaio. Anch’io ho scritto ed ho faticato, e vi ho rimesso la carta.

Bargello. Ma io intendo che si proceda coi rigori del fisco.

Pantalone. Via, sior bareselo1, butte più bon, che savè che mi son galantomo.

Bargello. Tutti dicono esser galantuomini colle parole, ma i fatti poi non corrispondono.

Pantalone. (T’ho capio). (da sè) Ma mi son galantomo più dei altri; e che sia la verità, passando per la sala de sto palazzo, ho visto a luser in terra e ho trova sto relogio. L’ho cognossuo che l’è vostro, l’ho tiolto su, e senza badar al valor e alla perfezion, onoratamente lo restituisso al so vero patron.

Bargello. È vero, questo è il mio orologio. L’avevo perduto. Vi ringrazio d’avermelo restituito. Signor giudice, il signor Pantalone è un galantuomo, bisogna prestargli fede. Assolva pure la di lui moglie e il di lui figliuolo, che quanto a me volentieri gli dono le mie catture. (parte)

Notaio. (Questa bella frase del signor Pantalone mi pone in qualche sospetto). (piano al giudice)

  1. Bargello.