Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1908, II.djvu/281

Da Wikisource.

L'UOMO PRUDENTE 273

Giudice. Quello che ho fatto, ho fatto, e non mi pento di averlo fatto. (al notaio)

Notaio. Pazienza! Mi dispiace la carta... (parte)

Pantalone. Andemo, no perdemo più tempo. Sior giudice, no so cossa dir. El ciel la benedissa; el cielo la defenda da ogni desgrazia. (E me varda mi de aver bisogno mai de sta sorte de grazie). (da sè, parte)

Beatrice. (Fra il dolore, il rossore ed il pentimento, mi sento balzar il cuor nel seno). (da sè) Signor giudice, rendo grazie alla vostra pietà. (parte)

Giudice. (Eppure colei non la credo tanto innocente. Oh donne senza giudizio!) (da sè)

Ottavio. (Povero padre! Poteva far di più per salvarmi?) (da sè) Signor giudice, a voi m’inchino.

Giudice. Amate e rispettate il vostro genitore, che ben lo merita.

Ottavio. (Questo rimprovero mi fa tremare). (da sè, parte)

Rosaura. (Ora sì, che sto fresca! Beatrice mi vorrà morta, e mio padre mi mangerà viva). (da sè) Signor giudice, volete altro da me?

Giudice. No no, andate pure. Abbiate un poco di prudenza.

Rosaura. Il cielo mi liberi dalle vostre mani. (parte)

Florindo. Non vonei, signor giudice, che la mia denunzia sembrasse una calunnia.

Giudice. Per questa volta vi passa bene, un’altra volta pensateci meglio.

Florindo. (Se vengo più qui sopra, mi si rompa l’osso del collo). (da sè, e parte)

Giudice. Molto malagevole impegno è quello del giudice! Dover sempre imprimer timore, e dover sentire tuttogiorno dolersi, piangere e sospirare! Io sono consolatissimo, quando posso assolvere e far bene. Valendomi del sentimento di quel poeta:

          «Giudice che pietoso assolve i rei,
          «Egual si fa nella clemenza ai Dei. (parte)